Un canto dall’inferno: La disintegrazione dell’atomo – G. Ivanov

Sprofonda, allora! Potrei dire: sali! È’ lo stesso. 

[Faust, seconda parte]

RESPIRO . Che quest’aria sia nociva? Ma è l’unica aria che mi sia concesso di respirare. Sono cose diverse quelle che, ora vagamente, ora con precisione straziante, riesco a percepire. Che sia inutile parlarne? Ma è necessaria o meno la vita, è intelligente o stupido lo stormire degli alberi, il calare della sera, lo scroscio della pioggia? Provo un sentimento confuso di superiorità e debolezza verso ciò che mi circonda: nella mia coscienza le leggi della vita sono intimamente intrecciate alle leggi del sogno. Deve essere in virtù di questo che, ai miei occhi, la prospettiva del mondo si e` fortemente alterata. Ma è anche l’unica cosa che io abbia ancora a cuore, l’unica che ancora mi separi dall’atrocità del mondo che tutto travolge.
Vivo. Cammino per la strada. Entro in un caffè. È questa la mia giornata, la mia vita irripetibile. Ordino un boccale di birra e lo bevo con piacere. ..

***

Eppure io sono un uomo felice. Ovvero un uomo incline alla felicità. Non è una cosa così frequente. Desidero le cose più  semplici, le più comuni. Desidero l’ordine. Non è colpa mia se l’ordine è crollato. Desidero la pace dell’anima. Ma l’anima è come una pattumiera torbida: una lisca d’aringa, una carogna di ratto, tozzi di pane, mozziconi di sigarette, tutte cose che si mescolano, ora immergendosi nel fondo torbido, ora riaffiorando in superficie. Desidero aria pura. ..

Cammino per la strada. Penso a cose diverse. Insalata, guanti. . . Fra le persone sedute nel caffé all’angolo, qualcuna morirà prima, qualcun’altra dopo, ciascuna nel suo termine preciso e stabilito. C’’è molta polvere, fa caldo. Questa donna è sicuramente bella ma a me non piace. Indossa un abito elegante e cammina sorridendo, eppure me la immagino nuda, sdraiata sul pavimento con il cranio fracassato da una scure. Penso alla lascivia e al ribrezzo, a sadici omicidi, al fatto che ti ho perduta per sempre, definitivamente. “Definitivamente” e` una parola penosa. Ma, considerate nel loro suono, tutte le parole non sono forse ugualmente penose e terribili? E’ l’antidoto del significato che cessa di agire in modo sorprendentemente veloce lasciando dietro di se ́ l’incomunicabile vuoto della solitudine. Ma che ne sapevano loro di cose penose e terribili, loro che credevano alla parola e al significato, loro, i sognatori, i figli, i favoriti senza merito del destino?! ..

Penso a cose diverse ..

Penso alla croce che porto sin dall’infanzia come si porta in tasca una pistola: in caso di pericolo deve difendere, salvare… Al fallimento ineluttabile e fatale. Allo splendore dei falsi miracoli che a turno incantano e disincantano il mondo. E all’unico miracolo degno di fede: l’incrollabile desiderio di miracolo che, nonostante tutto, alberga negli uomini. All’enorme significato di tutto questo. Al suo riflesso in ogni coscienza, soprattutto in quella russa. ..

***

Cammino per la strada, penso a Dio, osservo i volti femminili. Ecco una tizia carina, mi piace. Me la immagino mentre si lava le parti intime. Allargando le gambe e piegandosi leggermente sulle ginocchia. Le calze scivolano dalle ginocchia, gli occhi in profondità si fanno scuri come il velluto, l’espressione è innocente, da uccellino. Penso a come di regola la ragazza francese media si lavi con cura le parti intime ma raramente i piedi. Perché ́? Indossa sempre le calzette, molto spesso senza neppure togliersi le scarpe. Penso alla Francia in generale. Al diciannovesimo secolo che qui si è fermato. Alle violette sulla Madeleine, ai panini inzuppati negli orinatoi, agli adolescenti che vanno alla prima comunione, alle castagne, alla diffusione della gonorrea, al brivido argenteo dell’Ave Maria. Al giorno dell’armi- stizio Parigi sembrava impazzita. Le donne andavano a letto col primo venuto. I soldati salivano sui lampioni, gridando come galli. Tutti danzavano, tutti erano ubriachi. Nessuno prestava ascolto a ciò che aveva detto la voce del nuovo secolo: “Guai ai vincitori”.

Penso alla guerra. A quanto sia accelerata, come al cinematografo, condensata in un estratto di vita. Perche ́ di per se ́ la guerra non è responsabile delle sciagure che sono capitate nel mondo. E` solo il colpo che ha ac- celerato l’inevitabile e nulla piu`. Come per un malato è nocivo tutto ciò che è nocivo, cosi il vecchio ordine si è sgretolato al primo colpo. Il malato ha mangiato un cetriolo ed è morto. La guerra mondiale era quel cetriolo. Penso alla banalita` di queste riflessioni e nello stesso tempo percepisco, quasi si trattasse di calore o luce, la dolcezza lenitiva della banalita`. Penso all’epoca che si sta depravando davanti ai miei occhi. A due tipi fondamentali di donna: le prostitute, e quelle che sono orgogliose di aver evitato la prostituzione. Alla grazia disumana del mondo e all’animata atrocità del mondo. Alla natura, a come sia stupido il modo in cui la descrivono i classici della letteratura. Alle porcherie di ogni genere che gli uomini si combinano a vicenda. Alla pietà. Al fanciullo che ha chiesto a Babbo Natale degli occhi nuovi per la sorellina cieca. Al modo in cui è morto Gogol ́: a come l’hanno rasato, a come l’hanno terrorizzato con il giudizio universale, a come gli hanno applicato le sanguisughe, a come l’hanno costretto a forza nella vasca da bagno. Mi torna in mente una vecchia ninnananna: “La gattina brontolina aveva una matrigna arcigna”. Ripenso che sono un uomo incline alla felicita`. Desideravo la cosa piu` comune: l’amore.

Dal mio punto di vista, maschile. . . Del resto, un punto di vista puo` essere solo maschile. Non esiste un punto di vista femminile. La donna di per se ́ non esiste. E’ solo corpo e luce riflessa. Ma ecco che tu hai assorbito la mia luce e sei andata via. E tutta la mia luce mi ha abbandonato.

Stiamo ancora procedendo lungo la superficie della vita. Lungo la periferia. Lungo le azzurre onde dell’oceano. Parvenza di armonia e ordine. Fango, tenerezza, mestizia. E` ora di tuffarsi. Mi dia la mano, amico sconosciuto.

***

Il cuore cessa di battere. I polmoni si rifiutano di respirare. Un tormento simile all’estasi. Tutto è irreale tranne l’irreale, tutto è assurdo, tranne l’assurdo. .L’uomo nello stesso tempo perde e recupera la vista. Ora l’armonia e ora il caos. Una parte, divenuta più del tutto, la parte tutto, un intero nulla. Intuizione che la chiarezza e la perfezione del mondo siano solo il riflesso del caos nel cervello di un pazzo mansueto. Intuizione che i libri, l’arte, poco importa che descrivano gesta gloriose e viaggi, siano destinati a chi non andrà mai da nessuna parte e non compirà gesta gloriose. Intuizione che l’enorme vita spirituale cresca e bruci nell’atomo, nell’uomo che esteriormente non ha nulla di straordinario , ma che è l’eletto, unico, irripetibile. Intuizione che il primo che si incontra per strada sia questo eletto, unico, irripetibile. Una moltitudine di intuizioni contraddittorie che sembrano affermare in modo nuovo l’eterna impalpabile verità. Sogni misteriosi. Dimmi cosa sogni di nascosto e ti dirò chi sei. Va bene, proverò a dirtelo, ma tu sei davvero in grado di capirmi? Tuttto è stato murato e reso liscio, sulla superficie della vita non affiora neppure una bollicina. L’atomo, il punto, il genio sordomuto, e sotto i suoi piedi lo strato pro- fondo del sottosuolo, l’essenza della vita, carbon fossile di epoche marcite. Il record mondiale della solitudine. Dai, rispondi, dimmi, cosa sogni di nascosto, nel fondo estremo della tua solitudine?

***

La storia della mia anima e la storia del mondo. Sono intrecciate come la vita e il sogno. Si sono unite e sono germogliate l’una nell’altra. Dietro di loro, come uno sfondo, come uno schizzo tragico, c’è la vita contemporanea. Abbracciate, fuse, intrecciate, scompaiono nel vuoto con la terribile velocità delle tenebre, dietro le quali pigramente, senza neppure tentare di raggiungerle, si muove la luce.

Trombe. Mattino. Una tenda sfarzosa. Non c’è nessuna  tenda. Ma il desiderio di solidità, di compattezza è così imperioso che sento al tatto la sua spessa seta intessuta. La tessevano dalla mattina alla sera certe esperte lavoratrici dagli occhi azzurri. Una era fidanzata… Non la tessevano da nessuna parte. Avanti. Avanti. ..

La lama di un rasoio di sicurezza, incastrata a un mozzicone di sigaretta ormai unto, riflette, attraverso l’immondizia, un raggio di sole iridato e lo dirige verso il muso del ratto. Digrigna i denti affilati sui quali c’è dell’icore. Come e` potuto accadere che questo vecchio, esperto, cauto, timorato ratto non si sia preservato, abbia ingerito il veleno? Come ha potuto, sul declinare della vita, il ministro che ha sottoscritto il trattato di Versailles commettere peculato a causa di una ragazzi- na? Di aspetto gradevole, colletto inamidato di pietra, croce da commendatore, “la Germania deve pagare”, e a conferma di questo assioma un sicuro svolazzo su una pergamena storica, con una storica penna dorata. E all’improvviso una ragazzina, calze, ginocchia, respiro te- nero e caldo, vagina calda e rosa, e non c’è più ne ́ il trattato di Versailles ne ́ la croce da commendatore, il vecchietto disonorato sta morendo sulla branda di un carcere. La vedova, non bella, rispettabile, imbacuccata nel crespo, è in procinto di partire per sempre per la provincia, i figli si vergognano del nome del padre, i colleghi al senato scuotono le teste calve con fare triste e riprensivo. Ma il colpevole di tanto fango e scempiaggine si e` lasciato alle spalle tutto questo, se l’è lasciato da tempo, se l’è lasciato già nel momento in cui la porta della camera da letto si è chiusa dietro di lui, la chiave è girata, il passato è scomparso, è rimasta una ragazzina distesa su un ampio letto, una cambiale contraffatta, la beatitudine, il disonore, la morte. Dopo essersi lasciato il destino alle spalle, ora vola in uno spazio ghiacciato, e le tenebre eterne frusciano contro le falde del suo cappotto cerimonioso e fuori moda. Di fronte a lui volano i mozziconi di sigarette e i trattati storici, capelli pettinati e le idee logore del mondo, dietro, altri capelli, trattati, mozziconi di sigarette, idee, sputi. Se alla fine le tenebre lo condurranno ai piedi del trono, a Dio non dira` “La Germania deve pagare”. “Oh, tu, ultimo amore. . . ”, balbetterà smarrito.

***

Coito con una ragazzina morta. Il corpo era morbidissimo, appena un po’ freddo, come dopo il bagno. Con intensità, con particolare piacere. Lei giaceva come addormentata. Non le ho fatto del male. Al contrario in quei febbrili minuti la vita proseguiva intorno a lei, se non per lei. Una stella stava sbiadendo attraverso la finestra, i gelsomini erano al culmine della fioritura. Il seme è tornato indietro, l’ho asciugato con una fazzoletto. Alla fiamma di un grosso cero mi sono acceso una sigaretta. Avanti. Avanti.

Hai portato via la mia luce lasciandomi nell’oscurità. Tutta la grazia del mondo si è concentrata in te sola, interamente. E io mi tormentavo pensando che un giorno saresti invecchiata, ti saresti ammalata, ti saresti imbruttita, saresti morta con angoscia, e io non sarei stato accanto a te, non ti avrei mentito assicurandoti che ti saresti rimessa, non ti avrei stretto la mano. Dovrei rallegrarmi di non dover attraversare questo tormento. Del resto qui si è concentrata la cosa principale, forse l’unica a costituire l’amore. Il terrore causato da questo solo pensiero è sempre stato la stella della mia vita. Ed ecco che tu non ci sei più da tanto tempo, e lei come prima brilla alla finestra.

***

.. comincia a imbrunire, presto appariranno le stelle. Le stelle degli anni Trenta del ventesimo secolo. E` possibile descrivere questa sera, Parigi, la strada, il gioco di ombre e luci nel cielo nuvoloso, il gioco della paura e della speranza nell’anima solitaria di un uomo. Lo si può fare in modo intelligente, con talento, metaforicamente, con verosimiglianza. Ma il miracolo non può più compiersi; la menzogna dell’arte non la si può più  spacciare per verità. Fino a poco tempo fa sarebbe stato ancora possibile. Ma ecco che..

Ciò che era possibile ieri è diventato impossibile oggi, inconcepibile. Non si può credere all’apparizione di un nuovo Werther, grazie al quale all’improvviso comincino a scoppiettare per tutta Europa gli entusiastici spari di suicidi affascinati e inebriati. Non si può immaginare un quaderno di poesie, sfogliando il quale l’uomo contemporaneo metta da parte le lacrime e guardi con struggente speranza al cielo, ecco, a un cielo che esattamente come questo volge alla sera. E’ impossibile. Impossibile a tal punto che si stenta persino a credere che un tempo sia stato possibile. Le nuove ferree leggi che come pelle umida stringono il mondo, non conoscono la consolazione dell’arte. E soprattutto, queste leggi ancora poco chiare, già ineluttabili, impietosamente giuste, queste leggi che nascono nel nuovo mondo o che lo generano, possiedono una forza retroattiva: non so- non si può creare una nuova geniale consolazione, ma già è impossibile consolarsi come prima. Ci sono persone capaci tuttora di piangere sul destino di Anna Karenina. Se ne stanno ancora ritti su una zolla che sta scomparendo insieme a loro, là dove e’ stato piantato il fondamento del teatro, dove Anna, col gomito poggiato sul velluto della menzogna, risplendendo di tormento e bellezza, viveva il suo disonore. Questo splendore quasi non giunge fino a noi. E da questi raggi obliqui, appena offuscati, non proviene ne ́ l’ultimo riflesso di ciò che e’ perduto, ne ́ la conferma che la perdita è irrimediabile. Presto tutto appassirà per sempre. Resterà il gioco dell’intelligenza e del talento, una lettura avvincente che non costringa a credere e non desti più la fede. Sul tipo de I tre moschettieri. Cio` che Tolstoj ha avvertito prima di tutti, il tratto fatale, il confine oltre il quale non ci sarà nessuna consolazione da parte della bellezza fittizia,né alcuna  lacrima per un destino fittizio.

***

Desidero le cose piu semplici, le più comuni. Desidero piangere, desidero consolarmi. Desidero guardare al cielo con struggente speranza. Desidero scriverti una lunga lettera d’addio, ingiuriosa, celeste, turpe, la più tenera del mondo. Desidero chiamarti angelo, creatura, augurarti felicità e benedirti, e dirti ancora che dovunque andrai, dovunque fuggirai, il mio sangue come una miriade di particelle che non perdonano, che non perdoneranno mai, turbinerà sempre intorno a te. Desidero dimenticare, riposare, salire su un treno, andarmene in Russia, bere birra e mangiare gamberi in una calda sera dentro un ristorante che galleggia sulla Neva. De- sidero vincere l’abominevole sensazione di torpore: le persone non hanno un volto, le parole non hanno un suono, nulla ha senso. Desidero distruggere in qualche modo questa sensazione. Desidero soltanto riprendere fiato, prendere un po’ d’aria. Ma di aria non ce n’è.

Lo splendore della luce e la calca ai caffe` danno ogni tanto l’illusione della libertà: l’hai scampata, sei sfuggito, la morte ti è passata accanto. A voler spendere 20 franchi e` possibile andare con una ragazzina pallida e carina che cammina lenta sul marciapiede fermandosi quando incrocia lo sguardo di un uomo. ..

Femmina. Carne. Strumento dal quale l’uomo trae l’unica nota della gamma divina che gli sia concesso di sentire. Una lampadina brilla al soffitto. Il volto e` appoggiato sul cuscino. Si può pensare che sia la mia fidanzata. Si puo` pensare che io abbia fatto ubriacare la ragazzina e l’abbia violentata con l’inganno e la forza. Si può non pensare nulla, rabbrividire, prestare attenzione, ascoltare cose sorprendenti, attendere l’arrivo del momento in cui il dolore e la felicità,  il bene e il male, la vita e la morte, come durante un’eclissi, incroceranno le proprie orbite, pronte a unirsi in una sola, quando l’orribile luce verdognola della vita-morte, della felicita`- tormento sgorgherà dal passato morto, dalle tue pupille spente.

***

La storia della mia anima e la storia del mondo. Si sono intrecciate e sono germogliate una nell’altra. La contemporaneità dietro di loro, come un tragico sfondo. Il seme che non poteva fecondare nulla, è tornato indietro, l’ho asciugato con un fazzoletto. Tuttavia fino a quando è durato, la vita ha continuato a palpitare.
La storia della mia anima. Desidero realizzarla, ma riesco solo a distruggerla. Invidio lo scrittore che fa risaltare il suo stile, il pittore che sa dosare i colori, il musicista immerso nei suoni, tutti costoro che ancora non sono scomparsi dalla faccia della terra, questa specie sensibile e impietosa, presbite e miope, famosa, ormai inutile, la quale crede che il riflesso plastico della vita equivalga alla vittoria su di essa. Se almeno ci fosse il talento, un particolare spermatozoo creativo nella mente, fra le dita, nell’udito, basterebbe prendere qualcosa di un’idea, un po’ di realtà,  un po’ di tristezza, un po’ di fango, livellare tutto come i bambini con la paletta spianano la sabbia, abbellire con stile e fantasia come con la glassa una torta, e l’affare è fatto, tutto è stato salvato, l’insensatezza della vita, la vanità della sofferenza, la solitudine, il tormento, il terrore appiccicoso e nauseante; tutto trasfigurato dall’armonia dell’arte.

So quanto valga tutto questo e tuttavia li invidio: sono beati. Beati dormienti, beati morti. È’ beato l’intenditore di fronte a una tela di Rembrandt, santamente convinto che il gioco di ombre e luci sul volto di una vecchia sia un trionfo mondiale, di fronte al quale la stessa vecchia è nulla, un granello di polvere, uno zero. Beati gli esteti. Beati gli amanti dei balletti. Beati coloro che ascoltano Stravinskij e Stravinskij stesso. Beate sono le ombre che abbandonano il mondo, riversandovi gli ultimi, dolci, falsi sogni che a lungo hanno cullato l’umanità. Andandosene, abbandonando già la vita, esse porteranno con se ́ l’enorme ricchezza immaginativa. Cosa ci resterà?

La certezza che la vecchia è infinitamente più importante di Rembrandt. L’incapacità di comprendere cosa dovremmo farci con questa vecchia. Il desiderio tormentoso di salvarla e consolarla. La chiara consapevo- lezza che non si può salvare o consolare niente e nessuno. La sensazione che solo attraverso il caos delle contraddizioni sia possibile avvicinarsi alla verità. Che vicinarsi a essa sia possibile solo travisando le cose. Che non si possa fare affidamento sulla realtà: una fotografia mente e qualsiasi documento creato dall’uomo è solo una contraffazione. Che tutto ciò che è medio, classico, sereno, è ormai inconcepibile e impossibile. Che il senso della misura sguscia via dalle mani di chi tenta di afferrarlo come un’anguilla, e che questa inafferrabilità sia l’ultima delle sue proprietà ad essersi conservate. Che quand’anche alla fine venisse afferrato, colui che ci sarà riuscito si ritroverà in mano la volgarità. “Fra le sue braccia giaceva morto un fanciullo” Che ovunque tutti quanti tengano fra le braccia questi fanciulli morti. Che chi vuole, attraverso il caos delle contraddizioni, penetrare la verità  o anche solo un suo pallido riflesso, abbia un’unica via: camminare lungo la vita come un acrobata su una fune, lungo lo squallido, logoro, contraddittorio stenogramma della vita.

***

.. Guardo e non vedo nulla che mi commuova, che faccia rabbrividire l’anima. Mi faccio violenza ma niente. E all’improvviso il pensiero che tu respiri qui sulla terra, all’improvviso nella memoria, come fosse vivo, il tuo volto, bello, crudele.

E subito vedo e sento tutto, tutto il dolore, tutta la sofferenza, tutte le inutili suppliche, tutte le parole che precedono la morte. La vecchia che rantola con la gola sgozzata, la prostituta che fugge dal sadico, impigliandosi negli intestini, il pittore mediocre, affamato – ed ero proprio io – che muore. La lampada accesa. All’alba. Il ticchettio della sveglia. La lancetta che si avvicina alle cinque. All’inizio indugia, poi, una volta presa la decisione, si umetta le labbra. Stringe la pistola nella mano maldestra e sudata. La canna di ghiaccio tocca la bocca accaldata. Come doveva odiarli coloro che rimanevano in vita, come doveva invidiarli.
Vorrei andarmene in riva al mare, sdraiarmi sulla sabbia, chiudere gli occhi, sentire il respiro di Dio sul mio viso. Vorrei cominciare da lontano, da un vestito azzurro, da una lite, da un giorno invernale gonfio di nebbia. “Sulle colline della Georgia si stese la caligine della notte”, con parole di questo tipo vorrei parlare alla vita.

La vita non comprende più questa lingua. L’anima non ne ha ancora imparata un’altra. Così l’armonia svanisce dolorosamente nell’anima. Forse quando svanirà del tutto, come una piaga che si cicatrizza, l’anima tor- nerà di nuovo a sentirsi leggera come in origine. Ma il passaggio è lento e tormentoso. Per l’anima è terribile. Le sembra che, una dietro l’altra, inaridiscano tutte le cose che la rendevano viva. Le sembra di inaridire essa stessa. Non può tacere e ha disimparato a parlare. E muggisce convulsamente, come una sordomuta che fa smorfie indecenti. “Sulle colline della Georgia si stese la caligine della notte”, vuole pronunciare in modo squillante e trionfale glorificando il Creatore e se stessa. E con un disgusto simile al piacere, borbotta bestemmiando, da una palizzata metafisica, qualcosa del tipo “dyr bu ˇscˇyl ubeˇscˇur”. ..

Voglio parlare della mia anima con parole semplici, convincenti. So che queste parole non esistono. Voglio raccontare come ti amavo, come morivo, come sono morto, come sulla mia tomba venne posta una croce e come il tempo e i vermi hanno trasformato questa croce in polvere. Voglio raccogliere un pizzico di questa polvere, guardare il cielo per l’ultima volta e con sollievo soffiare sul palmo. Desidero diverse cose, tutte ugualmente irrealizzabili: respirare di nuovo l’odore dei tuoi capelli sulla nuca e trarre dal caos dei ritmi quell’unico ritmo grazie al quale, come una roccia a causa di una detonazione, crollerà l’atrocità del mondo. Voglio raccontare di un uomo che giace su un letto disfatto, mentre pensa, pensa, pensa a come salvarsi, a come fare ordine, senza riuscire a escogitare nulla. A come si è assopito, a come si è svegliato, a come si è subito ricordato tutto, di come ad alta voce, proprio come si parla di un estraneo, ha detto: “Egli non era un Re. Aveva soltanto questo amore. Ma in esso era racchiuso tutto, il potere, la corona, l’immortalità. Ed ecco che è crollato, l’onore è stato sottratto, strappato dai persecutori”. Voglio spiegare con parole semplici, convincenti una moltitudine di cose magiche, irripetibili, di un vestito azzurro, di una lite, di un giorno invernale gonfio di nebbia. Inoltre voglio mettere in guardia il mondo da un nemico terribile: la pietà. Voglio gridare in mo- do che tutti sentano: uomini, fratelli, tenetevi forte per mano e giurate di essere spietati l’uno con l’altro. Altrimenti lei, il principale nemico dell’ordine, si lancerà contro di voi e vi spazzerà via.

Voglio per l’ultima volta evocare dal vuoto il tuo volto, il tuo corpo, la tua tenerezza, la tua crudeltà, voglio raccogliere mescolato, ridotto in polvere ciò che è tuo e ciò che è mio, come un pugno di cenere su un palmo, e con sollievo soffiarvi sopra. Ma la pietà di nuovo mi confonde, di nuovo mi frena. Vedo di nuovo la nebbia di una città estranea. Un mendicante gira la manovella dell’organino, una scimmietta, tremando dal freddo, con un piattino passa tra gente piena di se ́. Costoro, sotto gli ombrelli, gettano cupi e svogliati degli spiccioli. Forse basteranno per un misero alloggio, coprirsi, restare abbracciati fino al mattino. ..

Tutto questo mi si è presentato nel mezzo di un ballo chiassoso, fra champagne, musica, risa, il fruscio della seta, la fragranza dei profumi. Era uno dei tuoi giorni più felici. Splendevi di gioventù, grazia e crudeltà. Ti divertivi, trionfavi sulla vita. Guardai verso di te che sorridevi circondata di gente. E vidi: la scimmietta, la nebbia, gli ombrelli, la solitudine, la miseria. E per un acre senso di pietà, come per un bagliore insopportabile, abbassai gli occhi. ..

***

In un caffè è seduto un uomo. Un uomo qualunque, una nullità. Uno di quelli per cui dopo una catastrofe scrivono: 10 morti e ventisei feriti. Non il direttore di un trust, non un inventore, non un Lindbergh, non un Chaplin, non un Monterlan. Ha letto un giornale e ora conosce l’orientamento dell’opinione pubblica inglese. Ha finito il caffè  e chiama il cameriere per pagare il conto. Pensa distrattamente che ha altro da fare, andare al cinema o puntare dei soldi alla lotteria. È tranquillo, di buon umore, dorme, fa un sogno sciocco. E all’improvviso, vede davanti a se ́ il buco nero della sua solitudine. Il cuore cessa di battere, i polmoni si rifiutano di respirare. Un tormento simile all’estasi.

L’atomo è immobile. Dorme. Tutto è stato murato e levigato, sulla superficie della vita non affiora neppure una bollicina. Ma se si prova a stuzzicarlo. A smuovere la sua essenza dormiente. A toccare, scuotere, disintegrare. A liberare attraverso l’anima un milione di volt, e poi affondare nel ghiaccio. Amare qualcuno più di se stessi e dopo vedere il buco della solitudine, un buco nero, di ghiaccio.

Un uomo, un omino, una nullità guarda smarrito davanti a se ́. Vede il nero vuoto e in esso, come un lampo improvviso, l’incomprensibile essenza della vita. Migliaia di domande senza nome, senza risposte, illuminate all’improvviso da un fuoco accelerato e subito dopo divorate dalle tenebre.

La coscienza, tremando spossata, cerca una risposta. Non c’è nessuna risposta. La vita pone domande e non dà risposte. L’amore pone. . . Dio ha posto all’uomo, in quanto uomo, una domanda, ma non gli ha fornito una risposta. E l’uomo e` condannato soltanto a chiedere, incapace di una minima risposta. L’eterno sinonimo del fallimento: la risposta. Quante belle domande sono state poste nella storia del mondo, e che risposte sono state date.

Due miliardi di abitanti della terra. Ciascuno composto della propria sofferta, irripetibile, unica, inutile, odiosa complessità. Ciascuno, come l’atomo nel nucleo, racchiuso nell’impenetrabile corazza della solitudine. Due miliardi di abitanti della terra, due miliardi di eccezioni alla regola. Ma nello stesso tempo anche la regola. Tutti disgustosi. Tutti infelici. Nessuno può cambiare e capire nulla. Fratello Goethe, fratello portiere, entrambi non sapete cosa create e cosa crea con voi la vita.

Il punto, l’atomo, la cui anima sprigiona milioni di volt. Ora la disintegreranno. Ora l’immobile impotenza avrà fine con una terribile forza esplosiva. Ora, ora. La terra ha già cominciato a oscillare. Qualcosa ha già scricchiolato nelle fondamenta della torre Eiffel. Il samum con le sue correnti torbide si è attorcigliato nel deserto. L’oceano affonda le navi. I treni precipitano
In un pendio. Tutto esplode, frana, fonde, crolla tra sformandosi in cenere: Parigi, la strada, il tempo, il tuo sembiante, il mio amore.

Un uomo, un omino, una nullità resta seduto con lo sguardo fisso. Si avvicina il cameriere, consegna il resto. L’uomo respira, si alza. Si accende una sigaretta, cammina per la strada. Il suo cuore non è ancora scoppiato, batte nel petto come prima. L’atrocità del mondo non è crollata, eccola; è simile a roccia e stringe il mondo come prima.

Un vestito azzurro, una lite, un giorno invernale gonfio di nebbia. Desiderio di parlare, tentativo di cantare, del proprio amore, della propria anima. Sciogliersi, sin- ghiozzare con semplici convincenti parole, parole che non esistono. . .

Come è cominciato il nostro amore? Banalmente, banalmente, come tutte le cose belle è cominciato banalmente. Probabilmente anche l’armonia è una bana- lità. Probabilmente non ha senso lamentarsene. Probabilmente c’è una sola ed unica via per tutti: camminare lungo la vita, come un acrobata su una fune, lungo la sofferta percezione della vita. Percezione inafferrabile che nasce nell’estrema intimità fisica, nell’estrema inaccessibilità, nella tenerezza che lacera l’anima, nella perdita di tutto questo per sempre, per sempre.

L’alba alla finestra. Il desiderio ha descritto un intero percorso e si è ritirato nella terra. … L’alba alla finestra. Sul lenzuolo spiegazzato, fra le mie mani, tutta l’innocente grazia del mondo e una sconcertante domanda su ciò che ne è stato fatto. È sacra, è disumana. Che se ne fa l’uomo dello splendore disumano della grazia? Un uomo è rughe, borse sotto gli occhi, calce nell’anima e nel sangue, un uomo è prima di tutto dubbio sul proprio sacro diritto a compiere il male. “L’uomo comincia dal dolore” come disse un certo poeta. E chi lo discute? L’uomo comincia dal dolore. La vita comincia domani. Il Volga sfocia nel mar Caspio. Dyr bu ˇscˇyl ubeˇscˇur.

***

Questo giorno, questa ora, questo minuto che scivola via. Migliaia di giorni identici e minuti unici, irripetibili. Questo tramonto parigino nuvoloso che mi offusca gli occhi. Migliaia di questi tramonti, sopra la contemporaneità, sopra i secoli futuri, sopra i secoli passati. Migliaia di occhi che guardano con identica speranza verso lo stesso vuoto splendente. L’eterno sospiro della grazia del mondo: sto invecchiando, mi spegnerò, non ci sarò più. “Sulle colline della Georgia si stese la caligine della notte”. Ed ecco che si è stesa anche sulla collina di Montmartre. Sui tetti, agli incroci, sulle insegne dei caffè, sugli emicicli di un orinatoio, dove con un rumore inquietante, proprio come nel fiume Aragvi, scorre l’acqua.

Tramonti, migliaia di tramonti. Sulla Russia, sull’America, sul futuro, sui secoli passati. Puˇskin ferito si appoggia col gomito sulla neve e sul suo volto sgorga un rosso tramonto. Tramonto in una camera ardente, in una sala operatoria, sopra l’oceano, sopra le Alpi, su una latrina di assi di legno in un campo: tutte sfumature di giallo e marrone che riempiono di macchie le pareti, un fetore composito, contrastato dall’aria fresca che penetra da una fessura. Una recluta, un ragazzo vigoroso, reggendo con una mano la porta, con l’altra si masturba frettolosamente. E raggiunge l’orgasmo emettendo un grido soffocato. Scacciando delle mosche da un bicchierino con un liquido caldo e appiccicoso per immergere le dita, cade nella melma marrone. Il volto del ragazzo si fa grigio. Fiaccamente tira su i pantaloni. E così non gli è  riuscito di immaginarsi la fidanzata rimasta in campagna. Probabilmente lo uccideranno in guerra, forse quest’anno stesso.

Tramonto su Temple. Tramonto sulla Lubjanka. Tramonto nel giorno della dichiarazione di guerra e nel giorno dell’armistizio: tutti ballavano, erano tutti ubriachi, nessuno sentiva la voce che diceva “Guai ai vincitori”. Tramonto in una camera dove un tempo vivevamo io e te: un vestito azzurro giaceva su questa sedia.

***

Il cuore cessa di battere. I polmoni si rifiutano di respirare. Qualcuno sfila le calzette nivee dai piedi di Psiche. Fintanto che lentamente, molto lentamente è stato denudato il ginocchio, la caviglia, il tenero tallone infantile, sono volati via gli anni. L’eternità è trascorsa, in attesa che apparissero le soffici dita. . . Ed ecco, tutto si è compiuto. Non c’è più nulla da aspettare, più nulla da sognare, nulla per cui vivere. Non c’è più nulla. Solo i piedi nudi di un angioletto, stretti a labbra intirizzite, e un unico testimone: Dio. Lui era consigliere titolare, lei figlia di un generale. Ed ecco, ecco. . .

Un lenzuolo freddo come il ghiaccio. La notte emana una luce torbida attraverso la finestra. Un minuto profilo da uccellino sta per essere rovesciato sui cuscini. Oh, ancora, ancora. Piu` veloce, piu` veloce.

È stato raggiunto tutto, ma l’anima ancora non si è saziata e trema all’idea di non potersi saziare. Finche ́ c’è tempo, finche ́ la notte continua, finche ́ non canterà nil gallo e l’atomo, sussultando, non scoppierà in miriadi di particelle, cosa si potrà  ancora fare? Quanto più si penetra nel proprio trionfo, nell’essenza delle cose, tanto più  questa essenza viene scavata, urtata, disintegrata. Aspetta Psiche, fermati tesoro. Pensi che questo sia tutto? Il punto superiore, la fine, il limite? No, non mi
Ingannerai. . .
Il silenzio e la notte. Le nude dita infantili attaccate a labbra intirizzite. Odorano di innocenza, di dolcezza, di acqua di rose. Ma no, no, non mi ingannerai. Come un cavatappi, come un cavatappi vortica l’avida passione, attraverso l’apparenza e la superficie, puntando in modo estasiato a discernere nella carne dell’angioletto i sogni, la propria vergognosa essenza sanguigna. Tu dimmi, attraverso l’innocenza e l’acqua di rose, di cosa profumano, Psiche, i tuoi bianchi piedini? Nell’essenza delle cose di cosa profumano, rispondi? Della stessa cosa che i miei, angioletto, della stessa cosa dei miei, tesoro. Non mi ingannerai, no!

E Psiche lo sa: non si deve ingannare. I suoi piedini palpitano nei palmi avidi e capaci e, palpitando, donano l’ultima cosa che le sia rimasta, la cosa più segreta, la più preziosa, proprio perche ́ la più vergognosa: l’odore più leggero, più effimero, che tuttavia non distrugge nessuna grazia, nessuna innocenza, nessuna ingiustizia sociale. Lo stesso che emana da me, dolcezza, lo stesso che emana dai miei piedi plebei, mia collegiale, angioletto, sangue blu. Quindi fra di noi non c’è alcuna differenza e non c’è nulla di mio di cui ti possa sdegnare: ho baciato i tuoi piedini signorili, ho dato la mia anima per loro, e quindi abbassati, bacia le punte dei miei piedi malridotti. “Lui era consigliere titolare, lei figlia di un generale. . . ”. Che me ne faccio di te ora, Psiche? Devo ucciderti? Non fa differenza perche ́ anche da morta d’ora in poi verrai da me.

Per una citta` estranea cammina un uomo confuso. Il vuoto lo avvolge, come il flusso marino. Non gli si oppone. Mentre procede, borbotta fra se ́: Russia di Puˇskin, perche ́ ci hai ingannati? Russia di Puˇskin, perche ́ ci hai traditi?

***

Il silenzio e la notte. Un silenzio pieno, una notte assoluta. Il pensiero che tutto finira` per sempre ghermisce l’uomo con un quieto trionfo. Lui sente, sa per certo che non è così. Ma fino a quando durera` questo secondo, lui non si opporra`. Pur non appartenendo piu` alla vita, senza ancora essersi aggrappato al vuoto, si permette di cullare con una ninnananna, quasi fosse
musica o risacca marina, una triste menzogna melodica.

Pur non appartenendo piu` alla vita, senza essersi ancora aggrappato al vuoto. . . Sul limite estremo. Oscilla su un filo di ragnatela. Vi e` appesa tutta la gravità del mondo, ma lui non lo sa, fino a quando durerà questo istante, la ragnatela non si spezzerà , reggerà  tutto. Fissa un solo punto, un punto infinitamente piccolo, ma fino a quando durerà questo secondo, tutta l’essenza della vita è concentrata là. Il punto, l’atomo, milioni di volt, che lo attraversano in volo e che fondono in mille pezzi, in mille pezzi il nucleo della solitudine.
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. . Una spirale è stata gettata profondamente nell’eternità. Lungo di essa e` volato via tutto: mozziconi di sigarette, tramonti, versi immortali, unghie tagliate, il fango da sotto le unghie. Le idee del mondo, il sangue versato per esse, il sangue di un omicidio e di un coito, il sangue delle emorroidi, il sangue di piaghe purulente. Il ciliegio selvatico, le stelle, l’innocenza, tubature, tumefazioni tumorali, i comandamenti della beatitudine suprema, l’ironia, la neve delle alpi… Tutte le speranze, tutti gli spasmi, tutta la pietà, tutta la spietatezza, tutto l’umore corporale, tutta la polpa fragrante, tutta l’ottusa solennità. . . E migliaia di altre cose. Il tennis con una maglietta bianca e i bagni in Crimea, i pidocchi tolti a un uomo che sta per essere divorato da essi nel carcere delle isole Solovki. Una varietà di pidocchi: sugli abiti, sulla testa e alcuni particolari, sottocutanei, che possono essere sterminati da un solo unguento. Unguento, pillole contro l’obesità, pillole contro la gravidanza, il disgelo della Neva, tramonto sul Lido e tutte le descrizioni di tramonti e di disgeli di fiumi, negli inutili libri dei classici della letteratura. Nell’interrotto flusso screziato balenò un vestito azzurro, una lite, un giorno invernale gonfio di nebbia. La spirale e` stata gettata nel fondo dell’eternità. L’atrocita` del mondo, ridotta in mille pezzi, fusasi, accorciandosi, vibrando, se ne è scivolata velocemente lungo la spirale. Là, sul confine estremo, alla meta, tutto è di nuovo confluito in una sola cosa. Attraverso la rotazione, la trepidazione e lo splendore, rischiarandosi un poco, sono apparsi i linea- menti. Il senso della vita? Dio? No, sempre la stessa cosa: il tuo caro, crudele volto perduto per sempre.

Se le bestioline potessero sapere in quale importante lettera io mi servo della loro lingua australiana ne sarebbero certamente orgogliose. Io sarei morto da tempo ma loro si divertirebbero ancora, saltellerebbero e batterebbero i loro piccoli palmi.

“Pedregio signor commissario. Di mia volontà, con mente non particolarmente sobria, ma con una memoria di ferro, pongo termine ai festeggiamenti dei miei onomastici. Io stesso sono una particella dell’atrocità del mondo, e non vedo la ragione di fargliene una colpa. Vorrei ancora aggiungere parafrasando le parole di Tolstoj appena sposo: ‘È stato talmente insensato che non può finire con la morte’. Con meravigliata, inconfutabile chiarezza lo capisco ora. Ma, di nuovo passando alla lingua australiana, tutto questo non punge sua eccedenza”.

 

da “La disintegrazione dell’atomo” – Georgij Ivanov

(il testo completo e una nota sull’autore sono sulla rivista http://www.esamizdat.it)

 

*in copertina
Io (frammento di una lettera) –
Giulio Paolini, 1969

http://youtu.be/wT2fOQqNV6U