Tom Waits Storyteller

 

Ho sempre amato le canzoni di avventure, le ballate su assassini, le canzoni di fallimenti e terribili atti di depravazione ed eroismo. Storie erotiche di seduzioni, canzoni romantiche, di coraggio selvaggio e mistero. È capitato a tutti di ritrovarsi dentro una canzone, almeno una volta. Canzoni dove la gente muore per amore. Canzoni di gente in fuga. Canzoni di vascelli fantasma e rapine in banca. Ho sempre voluto vivere dentro le canzoni e non tornare mai più. Canzoni che sono la chiave di superstizioni o sparizioni inspiegate.

Nella zona sud di Chicago, al Checkerboard Lounge, l’ultimo grande bluesman, Hound Dog Taylor, si esibiva davanti a un pubblico turbolento con un ubriaco in prima fila che lo interrompeva continuamente. Hound Dog tirò fuori una calibro 38, sparò a un piede dell’ubriaco, rimise la pistola nei pantaloni e finì la canzone. Ho pensato di fare la stessa cosa un migliaio di volte, ma non ne ho mai avuto il coraggio.

Da ragazzo, ero solito immergermi alla ricerca di perle nelle calde acque al largo della costa di Guaymas e San Felipe, dove scoprii una nave affondata vicino a San Blas. Mi infilai dentro i corridoi bui, tirandomi lungo le ringhiere: avanzai verso la cambusa e la sala da pranzo. Scardinai una botola incastrata, guardai dentro e vidi un centinaio di scheletri – tutti seduti ai tavoli con indosso abiti da sera: si alzarono all’improvviso, portarono le braccia sopra la testa e cominciarono a salutarmi. I loro corpi erano in decomposizione, ma gli smoking erano ancora perfetti. 

In un bar di Hermosillo una prostituta nana si arrampicò sul mio sgabello, mi si sedette in braccio, ordinò un suicidio doppio e mi raccontò di come avesse fatto fuori a sangue freddo il suo pappa al Bali-Hai a Tijuana. Era stato dieci anni prima e da allora era diventata una Cristiana Rinata, e voleva che io l’aiutassi ad alzare abbastanza soldi per andare in pellegrinaggio a Fatima.

Un donut shop aperto 24 su 24, tra la Nona e Hennepin a Minneapolis. Io e Chuck Weiss stiamo bevendo un caffè al bancone, tardi, presi nel bel mezzo di una guerra tra due magnaccia di tredici anni. Uno fuori in strada spara un arsenale da guerra, l’altro corre dentro al caffè, si tuffa dietro il bancone, disarmato, e strilla: “Leon sei un uomo morto!”. Un contenitore di stuzzicadenti vola verso la strada, un frullatore, una spatola e una manciata di forchette. Le pallottole colpiscono il forno, un dollaro incorniciato, un cane di porcellana. Io e Chuck ci lasciamo cadere sul pavimento mentre il jukebox si impalla su Our Day Will Come di Dinah Washington. Ogni pallottola finisce per cambiare la canzone sul Wurlitzer: una peggio dell’altra.

Una cosa che abbiamo sempre fatto in famiglia è quello che chiamiamo “farsi un giretto”. In una notte scura e piovosa, tiriamo fuori la vecchia Caddy su un tratto di strada perfido e tortuoso, la portiamo a centocinquanta e poi inchiodiamo. I bambini urlano di gioia, perché finiamo sempre in un posto diverso. È meglio del Ciclone o del Calcinculo e, soprattutto, lo facciamo tutti insieme.

I miei bimbi stanno cominciando a notare che il loro papà è un po’ diverso dagli altri. “Perché non hai un lavoro normale, come tutti gli altri?” mi hanno chiesto l’altro giorno. E allora gli ho raccontato questa storia: Nella foresta, c’era un albero storto e un albero dritto. Ogni giorno, l’albero dritto diceva all’albero storto: “Guardami. Sono alto e sono dritto e sono bello. Guardati. Sei tutto storto e piegato. Nessuno ti vuole guardare.” E crebbero in quella foresta, insieme. E poi un giorno vennero i taglialegna e videro l’albero storto e l’albero dritto e dissero: “Tagliamo solo gli alberi dritti e lasciamo stare gli altri.” Così i taglialegna trasformarono tutti gli alberi dritti in legname e stuzzicadenti e carta. E l’albero storto è sempre là, a crescere ogni giorno più forte, ogni giorno più strano”.

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la storia piu bella: take me home

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