Angeli Ribelli: Luigi Di Ruscio e Osvaldo Lucini

Angelo color ciclamino, Osvaldo Licini

il sottoscritto è fortunato
il passaggio tra la coscienza e il niente sarà brevissimo
non è destinata a noi una lunga e spettacolare agonia
non sarà per noi l’insulto di essere a lungo vivi senza coscienza
i clinici più rinomati non appresteranno a noi lunghe strazianti agonie
la nostra miseria ci salva dall’insulto di essere vivi senza più lo spirito nostro
ritorneremo tranquillamente nel niente da dove siamo venuti
è già tanto che il miracolo della mia esistenza ci sia stato riuscendo perfino a testimoniarvi tutti

Angeli primo amore – Osvaldo Lucini

La camicia mi sembrava preziosissima
impregnata come era di aria e sole
E fu nell’urlo più disperato della cornetta
che ci ritrovammo con le nostre bocche riunite
e tutto fu acquoso, caldo
E quante volte ero passato sotto le tue sottovesti colorate stese sulle canne
Quanto fuoco ingoiare, da quanti serpenti farsi stringere
In quali precipizi precipitare per guadagnare il pane della giornata
Primavera di gloria e serate di erba odorosa
insieme sull’erba a cavalcare sazi
Alla fine per nuova fame
con l’odore della terra dentro il naso
con la luna che precipitava tra le nubi
con la terra che veloce ci scorreva sotto.

Missili lunari – Osvaldo Licini

Mi rimettono tutti i peccati presenti passati e futuri ma è meglio non insistere con tutto questo peccare perché alla fine rompe anche il cazzo.
E sono anche stato fortunato a nascere nel 1930, e la mia formazione coincise con la prima edizione delle lettere dal carcere e io affabulavo sull’antologia di Anceschi chiamata lirici nuovi e comperavo il mestiere di vivere e il lavorare stanca nelle prime edizioni e vedevo i ladri di biciclette Roma città aperta per la prima volta. E poi, tutto a un tratto mi accorsi che non avevo più maestri e dovevo ammaestrarmi in questo mondo da solo e divenni “ironico” profondamente. E profondamente imparai la teoria dell’eterogeneità dei fini: il regno di Dio si realizzerà soprattutto per gli sforzi disperati dei nemici e negatori del regno di Dio, insomma il comunismo avanza come ironia della sorte e questa è la definizione dell’ironia trovata nel l’enciclopedia delle scienze filosofiche: l’ironia è giocare con tutto; questa soggettività non tiene nulla per serio, manifesta sì serietà, ma subito di nuovo la distrugge, ed è capace di trasformare il tutto in parvenza. Insomma questa è proprio la storia, cioè l’ironia della storia e l’anima della storia. Qualsiasi cosa è tutto l’opposto di quello che sembra. E adoperando la definizione di Hegel come esteti si entra dentro un gran casino. Credevamo proprio che fosse il sole a tramontare invece tramontavamo noi e ci capovolgiamo e i comunisti che lavorano per un mondo nuovo riuscivano solo a fare i funerali più grandi del mondo quando era da immaginarsi tutto l’opposto, non i funerali con le estreme unzioni, ma i battesimi le cresime e le prime comunioni. Non sapevamo più quello che facevamo, e la marcia funebre che accompagnava i grandissimi funerali di Piazza Rossa mi piaceva moltissimo, e per scrivere ho comperato la grande marcia funebre, comperato il disco, e me lo ascolto scrivendo, questo funerale, e poi me la mischio la marcia funebre, quando vado a lavorare inforcando la bicicletta, con le mie gambe che inforcano la bicicletta. Ed esaltato e vitalizzato dalla marcia funebre mi fischio anche la quinta di Beethoven, ed ero anche amato per questo mio bel fischiare, anche se quel fischio acutissimo che si fischia mettendo due diti in bocca non sono mai riuscito ad eseguirlo. E a tutti i miei quattro figli ho insegnato a fischiare, ad andare in bicicletta, a sciare, a giocare a dama e a scacchi, ad alzare gli aquiloni, a nuotare e anche a fare il morto, e poi ho considerato la mia opera pedagogica compiuta. Insegnai a tutti quattro i miei figli anche a camminare, e prendendoli per le mani dicevo: alzati e cammina, e a volte camminavano per davvero; e ora che camminate nuotate andate in bicicletta e perfino fischiate non rompetemi tanto i coglioni perché con questo funerale sono io entrato per una strada che non so proprio dove andrò a finire e perfino mia moglie mi compatisce per questa manìa funerea. E come il frutto è la verità del fiore, secondo Hegel, potrebbe essere che la morte è la verità della vita, come d’altronde potrebbe essere anche che la vita è la verità della morte. Pare che queste simmetrie siano assolutamente necessarie. E cosi i funerali sono molto viventi con tutta quella gente ridente e piangente a caso.
Tempo fa mi scrissero una lettera. Non potevo più pubblicare poesie su riviste di sinistra perché ero piccista.
E questa chiacchiera fu accettata tranquillamente.
Oslo, febbraio 1986

da Palmiro –
Luigi Di Ruscio

* in copertina
Angelo ribelle su fondo blu cupo –
Osvaldo Licini