da La neve nera di Oslo -Luigi Di Ruscio

~ Vado girando con la lampadina tascabile nel caso d’improvvise tenebre, entro in questa fabbrica che mi fa morire e precocemente morire, produzione di tutti i tipi di chiodi anche inservibili, l’occhio è in continuo pericolo, diti troncati di netto non certo per divertimento, sono sottotiro, mi rifiuto di portare l’elmo di plastica che si riempie subito di sudore, è meglio mantenere la testa fresca, qualsiasi disgrazia è stata addebitata alla negligenza operaia e per iscrivere tutto questo e riferire, non si sa a chi, l’orrore, rifiuto gli straordinari, il mio uscire di fabbrica è uno scappare, ho paura di essere inseguito, se mi buttano fuori dalla fabbrica esco fuori dalla piramide sociale e divento un barbone, dovrò imparare a dormire sui gradini delle metropolitane, sotto i ponti, forse potrei far domanda per andare in carcere, ad Oslo non è difficile una cellula d’isolamento, continuare ad ogni costo le sgrammaticature delle carte, c’era una grande mancanza di manodopera, la fabbrica per accalappiare operai affittava piccoli appartamenti, avevo assolutamente bisogno dell’appartamentino con la ragazza grossa e così se avessi perso il posto di lavoro avrei perso anche l’abitazione e fui accalappiato per sempre, se Beatrice ha accompagnato il Vate per le vie paradisiache la consorte fedele mi accompagna quotidianamente nelle vie dell’inferno quotidiano e ci facemmo crescere i capelli perché non c’erano più soldi per i barbieri e le sfumature alte, la consorte non faceva altro che ripetermi: Normalizzati, smetti di scrivere le poesie e prendi la cittadinanza norvegica, imperterrito in tutta questa anormalità, spericolato continuavo in tutti gli italianismi e imperterrito in tutte le scritture però non meteorologiche [..]

~ Per anni i miei viaggi sono stati esclusivamente mentali, per anni mi sono spostato solo dentro pochi chilometri, non ho fatto altro che lavorare sulle stesse trafilatrici, scopare la stessa donna, abitare la stessa casa con gli stessi figli, da dove abito al posto di lavoro ci saranno massimo tre chilometri, tutto era immobilizzato dal gelo dei blocchi contrapposti e tutto ad un tratto scoppiano tutte le virulenze nazionali, ogni particolarità si mette a reclamare il tutto. L’incazzatura tra i massimi misteri sistemi doveva rimanere ai livelli medi, dovevano rimanere ad una cottura a fuoco lento, una noiosa angoscia, una solitudine discreta, non ho vissuto grandi orrori, solo terrori notturni da cui mi sono svegliato sempre intatto, mi svegliavo meravigliato di essere ancora vivo, ieri ho visto un cielo spaventoso, non mi hanno neppure sfruttato molto, ho lavorato sempre in una fabbrica che è stata spesso in passivo e sopravviveva con i contributi dello stato magnanimo, non si capisce chi mai potrà inchiodare tutti i chiodi che questa fabbrica ha sfornato, l’oppressione sociale però è stata stritolante nell’avvelenamento di ogni giorno, l’asma, coliche renali, le allergie primaverili [..] l’Italia era come fosse sparita, regolarmente iscritto al sindacato dei metallurgici di Oslo e alla fine mi diedero anche un distintivo d’argento che non posso mostrarvelo perché non riesco più a ritrovarlo. [..]

~ Il sottoscritto finita l’ultima guerra mondiale si iscrisse al Partito comunista e decise di scrivere le poesie e di fare del tutto per mostrarsi normale, evitare stranezze, allucinazioni, affrontare tranquillamente angoscia e solitudine, il nostro lavoro è come quello di chi tenta di scassinare la cassaforte, la cosa va fatta in silenzio e con calma, ormai questa macchina da scrivere perde pezzi da tutte le parti, sembra una trappola per sorche, i pensieri devono sputarsi sulla carta simultaneamente. Lo stato normale è quello angoscioso e tutto ad un tratto la gioia tutta intera mi salta addosso e faccio un mucchio di cazzate, momenti quindi che potrebbero essere anche pericolosi, la gioia è tanta che l’inconscio è invidioso e cerca di punirti, non meriti tutta questa gioia e inciampi, sbatti il ginocchio sull’angolo, comperi fiori alla consorte e a rate un nuovo frigorifero o televisore, ti indebiti e perdi pure il portafoglio, dici brutto cornuto al caporeparto e dimentichi il preservativo e di nuovo le preoccupazioni per le mestruazioni che ritardano, di nuovo le male parole della consorte per le mie sciaguratezze e ricomincia l’angoscia. È difficile vivere tutta sta gioia senza inconvenienti, devi riuscire ad avere un inconscio tanto propizio che ti fa camminare sul filo delle alte tensioni e rimani incolume anche se fai le capriole sui fili ardenti.. La gioia improvvisa, dirompente, scrivo una pagina nera, schifosissima, la scritta che trapassa tutti i margini, noi che prestissimo affrontammo una afferrata battaglia e serbiamo fede ai nostri precoci propositi. Ed entrando nel reparto per la gioia mi metto ad urlare come un matto, il rumore delle macchine è tanto atroce che il mio rumore rimane invisibile anche se fosse potente come l’urlo dipinto da Munch, gli operai sanno bene che sono italico, di conseguenza non troppo normale di testa. Mia moglie continua a dirmi di smettere di scrivere poesie [..] e prima di morire normalizzati! Rimango anormale, sta tranquilla e così continuerai ad essere pervasa da bellissimi orgasmi, per certe cose la normalità è distruttiva, quindi sfido i regolamenti del reparto, abbandoni i ragni filanti, corro al gabinetto a pisciare, bevo acqua dai rubinetti proibiti e sono nel mio corpo come un popolo è nella sua patria agognata, nei momenti orgasmici  i confini del mio corpo diventano imprecisi e vengo ingoiato dalle cosce, cioè dalle cose e ciao. [..]

~ Un tempo avevo l’impressione che mentre scrivevo alle spalle ci fossero gli oppressi, gli stritolati ed erano soddisfatti di quello che andavo scrivendo e mi sentivo spronato a non tradirli, ad essere sempre dalla loro parte, ogni tanto mi voltavo per guardarli di scatto per sorprenderli prima che scomparissero, volevo vederli con i miei occhi se fossero proprio loro e non altra gente che viene a spiarmi, tante volte sentivo anche i loro fiati, il loro respirare, mi erano tanto prossimi che certe volte sentivo anche il loro battito cardiaco. In una sera di febbraio particolarmente gelida, il sottoscritto legge le poesie all’Istituto di cultura italiana ad Oslo [..] Dopo la lettura ci fu l’interrogatorio, volevano spiegazioni e mi accorsi che stavo spiegando tutto in dialetto fermano [..] Come mai scrivi le poesie italiane e dopo tanti anni di permanenza ad Oslo? Come mai parli ancora in dialetto fermano? Tutto l’universo linguistico fermano l’ho trapiantato ad Oslo mentre a Fermo a causa delle infinite comunicazioni di massa spariva. Il trasporto è stato facilitato dal fatto che tutto questo universo linguistico occupa pochissimo spazio, non è stata necessaria neppure una borsetta, ho trapassato le frontiere come un Re senza noie doganali, più complicato è stato il contrabbandare la macchina da scrivere che mi era stata regalata, pesava come il piombo per poco mi faceva scoppiare un’ernia, l’universo linguistico è l’anima mia, le anime trapassano le frontiere come niente fosse. Thomas Mann quando i nazisti gli tolsero la cittadinanza tedesca dichiarò in una intervista che dove era lui era anche la Germania. Dove è il sottoscritto è anche tutta la mia italianitudine. L’anima mia riempita dall’universo linguistico m’insegue caparbia.  [..]

~ Ammiro tutto questo caos che si esprime con le lettere alfabetiche archetipi indelebili dell’anima nostra, segni dello spirito mio, è meraviglioso che ogni mio moto d’animo, ogni dubbio, ogni trasalimento coincida perfettamente con una espressione alfabetica, è possibile dire tutto, tutto è transitivo e possiamo scriverlo direttamente e tutti d’accordo celebrano l’alta vicissitudine che uguaglia l’acqua inferiori a le superiori, cangia la notte con il giorno, il giorno con la notte, e fin che la divinità sia un tutto, nel modo che è capace di tutto.  [..]

La neve nera di Oslo –
Luigi Di Ruscio

 

* in copertina
Suprematism with Blue Triangle and Black Square –
Kazimir Malevich

* Un ringraziamento particolare a Giorgio Galli il cui blog mi ha permesso di conoscere Luigi Di Ruscio e a Christian Tito che, con il suo dolce e interessante epistolario, ha messo in luce quanto sia bello e ancora possibile l’incontro, Umano e sincero, tra due Poeti, due intellettuali, due Persone.

 
Caro Christian, aspetto le tue poesie, io e te siamo amici, la poesia è un genere impossibile, comunque vedremo … Luigi

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Caro Luigi, è vero: la poesia è un genere impossibile, sul quale, mi permetto di aggiungere, è impossibile fare un progetto di vita, ma in alcune persone la poesia non si cura dei progetti di chi la ospita e da dentro prende a calci pur di venirne fuori. Che quella ha progetti suoi. Tu sai certamente meglio di me questa cosa. Sono felice e grato che tu mi chiami amico. Christian

da Lettere dal mondo offeso –
Christian Tito Luigi di Ruscio
ed. L’Arcolaio