Il tema della porta: Bloch, Hammershøi e Buñuel

Vilhelm Hammershøi
” Nessuno che non sia stato seduto fino a notte tarda con te saprà mai che cosa significhi raccontare. Chi racconta, indugia; gira intorno, con amore, anche a ciò che semplicemente è e deve essere trasformato.”

Kracauer

Vilhelm Hammershøi

Tema della porta

Chi noi siamo e quando viviamo veramente, finora nessuno lo ha saputo. Ancora più oscuro, come e dove ce ne andiamo; i morenti si allontaano, ma in che modo? Un pò più di putredine, un pò di polvere, non si tratta di questo. La fama, buona o cattiva, passa nella memoria di qualche sopravvissuto e là si trattiene per un po’. Ma gli uomini, oggetto di questo epilogo, se ne vanno verso un fine ignoto. Anche il nulla, che gli increduli notoficano, è irrapresentabile, anzi in fondo ancora piu oscuro di un qualcosa che resti.
Uno esce dalla porta, ecco, non lo si vede piu. Anche lui scompare come se morisse, di colpo, il treno sparisce dietro la curva. Rimane tuttavia, anche nel caso di viaggi lontani e rischiosi, una differenza lampante, il vivente che parte resta sul nostro terreno, letteralmente: lo si può raggiungere al nostro livello senza bisogno di salire o di scendere. Il morente invece cambia di piano; semplicemente cadavere, va in un nulla irrapresentabile, che al massimo lascia il residuo di processi chimici, oppure sale, l’ “anima alata” scompare attraverso una grande porta aperta, situata in alto. La porta, per la quale egli se ne va, diventa una bocca che lo inghiotte, solo e vuoto quale ognuno di noi deve essere, affrontando da solo la morte; oppure diventa ingresso in qualcosa che non si sa e che non ha piu mura corporee. Quest’ultimo è l’esito “evidentemente” piu naturale, sebbene non se ne possa trarre alcun giudizio di realtà. Ma è singolare il modo in cui la porta colpisce emotivamente ogni volta che sia raffigurata in immagini o in storie; la parete rivolti alla quale ci si addormenta è la porta della morte.
Non è difficile introdurre subito qualcuno in quest’immagine; ci si ricorderà dell’enorme impressione esercitata da un semplice film con il tema della porta. Si vedeva una bella ragazza che andava per la campagna con il fidanzato. I due erano soli nella diligenza; all’ultima fermata sale un vecchio. Fissa la ragazza, e soprattutto il suo fidanzato, con uno sguardo stanco e severo, il volto duro. La vettura varca la porta di una cittadina, si ferma silenziosamente proprio sotto l’insegna di una locanda. Il vecchio segue la coppia e prende posto allo stesso tavolo, beve alla salute del giovane. Lili, la ragazza, aveva bevuto, compare una clessidra; la sabbia cola nel vetro, cattivo segno. Il calice cade di mano alla ragazza e si spezza, lei va a chiamare l’ostessa e torna indietro; il tavolo è vuoto, il volto duro scomparso e con lui il suo amato. E’ uscito in quell’istante, dicono i clienti, è passato con il vecchio davanti alla porta, Lili si precipita fuori, nessuno ha visto i due: solo un mendicante, un po’ più lontano, indica che sono andati da quella parte, sono passati anche davanti alla sentinella, là dove la città già finisce. La ragazza cerca l’amato tra gli albri, sempre piu lontano, nelle buie praterie, finché arriva a un muro, alto, di pietra, lo percorre in tutta la sua lunghezza, che sembra non aver fine, pare descrivere un cerchio e non avere ingresso da nessuna parte. Ma ecco che per la pianura, sotto il chiaro di luna, arriva uno strano corteo: fanciulli, uomini e donne, giovani e vecchi, contadini, borghesi, cavalieri, preti e re, figure di tutti i tempi, nebulose e pallide, a passo lento; in mezzo a loro, il fidanzato di Lili. Lei grida il suo nome, vuole abbracciarlo e attirarlo a sé; l’ombra si limita a rivolgerle uno sguardo lieve, infinitamente lontano, rallenta appena il passo stanco e strascicato e il morto scompare con gli altri attraverso il muro. Lili perde i sensi; così la trova il farmacista della cittadina che, col favore della luna piena, raccoglieva erbe dotate di potere magico, arnica, scabbiosa, sigillo di Salomone e biondella. Prende sulle spalle la ragazza e la porta a casa sua; la lascia sola per prepararle una tisana, lei si è lasciata sul tavolo, intorno storte, sali, zolfo, mercurio e flaconi di veleno, molti libri aperti, lo sguardo smarrito di Lili cade su di essi, sulla Bibbia aperta e su una frase sottolineata con forza: “Poiché l’amore è forte come la morte”. Quelle parole vengono lette una per una, valutate nel loro magico equilibrio di forza e gravità. Lili tende la mano verso il flacone del veleno, lo apre, beve: nello stesso istante si trova davanti al muro. Con un movimento repentino si passa la mano sulla fronte, estrema sorpresa e illuminazione completa, sonnambulismo e risveglio, il muro non è più chiuso, bensì c’è una fenditura ardente, una porta gotica che, con una luce che si intuisce infinita, dietro, conduce nelle profondità. Cosa avvenne nelle profondità lo si potrebbe facilmente raccontare, se la porta non fosse stata più illuminata della successiva camera mortuaria piena di candele, oppure della ressurrezione, come al solito. Ma la porta ebbe almeno l’effetto di trasformare il pubblico in una comunità (tua res agitur); una regia piu profonda sarebbe intervenuta sulla triviale opera cinematografica, portando alla coscienza, con la sua simultaneità di uscire ed entrare, il letale simbolo primigenio della porta.
Quanto a ciò che sta dietro di essa, difficile mostrarlo in immagini o in qualcosa di più adatto. Il mondo è pieno di sofferenza e la scarsa felicità che vi trova posto è muta, non la si può quasi propagare all’esterno, ancor meno “in alto”. E’ quindi più facile popolare il luogo nel quale scompariamo di immagini terrificanti piuttosto che di dèi beneauguranti. Se vogliamo rischiare l’incognito di quel luogo anche solo in “forma di presentimento” (ossia in conformità a ciò che qui ci colpisce oltremisura, si tratti di terrore o di gioia, in maniera trascendente), otteniamo un “inferno” quasi sempre molto ricco, appassionante e movimentato, mentre il “cielo” resta sbiadito nell’immaginario e nel linguaggio veramente noioso, pericolosamente vicino all’orrore delle domeniche borghesi. Solo in luoghi marginali si trovano a volte tratti diversi, riflessi variopinti per quanto modesti, che proseguono in certo qual modo il tema della porta, ma con quelli che entrano, non con il grande spettacolo estraneo. Istruttivi sono in tal senso dei temi cinesi, che di per sé trattano solo di artisti e del loro ingresso nell’opera, ma in questo modo tengono fuori e insieme introducono la loro più caratteristica Orplid odorosa e sonora. Vivere una filosofia vuol dire imparare attraverso di essa a morire, dice Montaigne evocando Seneca, con una saggezza quasi magica; anche alcuni temi cinesi sulla fine intrecciano la porta dell’opera con la porte della morte, in maniera curiosa e, certo non per caso, con la massima serietà dell’immaginazione e in effetti ben poco da artisti. Basta segnalarli come un gioco che non deve essere spinto troppo oltre, e che in definitiva assume il significato di un semplice desiderio con questo di interessante, che diventa come un nuovo vessillo nell’opera, e non solo una diserzione dal mondo. E’ il momento giusto per citare la storia del vecchio pittore che stava mostrando agli amici il suo ultimo quadro: vi si vedeva un parco, uno stretto sentiero, dolcemente serpeggiante, che lambiva alberi e corsi d’acqua e infine arrivava alla porticina rossa di un palazzo. Ma come gli amici fecero per voltarsi verso il pittore, che rosso singolare, questi non era piu lì accanto ma nel quadro, e si dirigeva per lo stretto sentiero verso la porta favolosa, si fermava silenziosamente davanti a essa, si girava, sorrideva, apriva la porta e scompariva. C’è un’altra storia dello stesso genere, una variante dello stesso mito, ripresa da Balasz nelle sue Sette fiabe, la storia del sognatore Han-tse, il poeta che aveva composto il libro della sua amata, la bella Li-fan, che l’aveva respinto. Cantava la fanciulla nella valle dei meli argentei in fiore, componeva per lei versi che parlavano di uno splendido mare e di un castello di giada, di abiti sontuosi, di feste e compagnie, splendeva sempre la luna nella valle degli argentei meli in fiore. I suoi versi magici avevano dato vita a questo sogno, ed egli poteva evocare presso di sé la stessa Li-fan dal libro, finché il giorno tornava a portarla via: prepotentemente la sua vita si era così divisa in due, il triste giorno che invecchia e la misteriosa creatura, che veniva a lui per abbandonarlo sempre di nuovo. Finché, una mattina, i familiari cercarono a lungo e inutilmente Han-tse nella sua capanna, senza trovarlo, sul tavolo giaceva aperto il suo libro con un capitolo nuovo, l’ultimo: l’arrivo di Han-tse nella valle degli argentei meli in fiore. In questo modo, anche un poeta è entrato nella sua opera, “dietro le mura di caratteri eterni”, veramente “produttive” dal punto di vista estetico, cioè dietro la porta dell’opera (la tarda musica di Mahler a volte produce nella realtà un effetto simile). Storie favolose di questo genere colorano in un certo senso l’oscurità che ci attende, attribuendo ad essa la tonalità dei nostri sogni di desiderio e della possibilità, niente affatto ovvia e ordinaria, di darle una figura e di abitarla; non a caso i fiori cinesi più variopinti crescono dalle tenebre dell’ultima porta, come se veramente fosse quanto di piu reale esiste per noi. Tuttavia, si tratta solo di fiabe, dotate di una certa profondità, che narrano di un pre-apparire da cui un dragone infernale non cessa di cacciarci indietro, anche in epoche timorate di Dio, strappandoci anche a rapimenti più profondi e più solidi di quelli che pittori e poeti ci arrecano. La terra continua ad essere inabitabile per l’uomo, nonostante alcuni simboli dell’approdo, che tuttavia non sono in grado di illuminare, se non per mezzo di sogni, la porta vivente della semi-esistenza o la porta fatale della possibile non-esistenza. Non si sono ancora incarnati né hanno conosciuto una prassi terrestre-sovraterrestre: in ogni caso, la terra inabitabile, insieme ad alcuni simboli di felicità, è un buon apprendistato per sogni realisti dietro la porta.

da Tracce –
Ernst Bloch

Vilhelm Hammershøi

La cornice che scompare due volte
” Portami con te” – questo desiderio non è solo dei bambini. Chiunque voglia continuamente espandersi e mutare non può non essere preso da questo desiderio. Già un bicchiere, nella sua modestia, attira a partecipare della sua chiarità, a votarsi al vino che è in esso. Anche i quadri sono bicchieri riempiti in modo estremamente particolare, bicchieri che lo sguardo beve, in cui lo sguardo penetra e forse talvolta non solo come sguardo. Cosicché l’orlo – che qui è la cornice – sembra scomparire. Certe leggende cinesi fanno svanire i loro personaggi, quando muoiono, nell’immagine e talvolta anche nella poesia. Questo è certo il più strano oggetto del desiderio che si conosca nella sfera della pittura e della poesia. Dalle nostre parti, simili favole sul “portami-via-con-te”, piene fino all’orlo, sono appena conosciute e solo nelle imitazioni, tranne una, di cui si dirà subito. Si basa su un vecchio motivo, che si riallaccia tra l’altro alla felicità del sogno e del risveglio. Anche Paul Ernst conosceva questa storia, ma non ne ha colto il vero significato. E una storia che non raggiunge certo il livello delle leggende cinesi, ma in cambio ripristina la normalità, per così dire.
Un giovane -così si narra- tornava a casa dall’Università per Non parlare con la sua fidanzata, che non amava piu alla follia. Dopo il pranzo, sedeva solo nella stanza dei genitori, guardando davanti a sé. La fidanzata chiamava da fuori, tutti erano pronti per partire, lui che faceva? Ma lui non aveva alcuna voglia della gita di campagna, oggi meno che mai. Furiosa, la ragazza sbatte la porta. Ma Rudolf non sentì alcun rumore poiché, per la prima volta da tanto tempo, dalla sua fanciullezza, osservava con attenzione il vecchio quadro sulla credenza. C’era un parco rococò, con dame e cavalieri che passeggiavano, e sullo sfondo, seminascosta dalle cime degli alberi, una residenza di campagna, con alte finestre che arrivavano a terra e un cancello dorato. A un incrocio delle vie del parco stava una dama tutta sola, teneva in mano un foglio o un fazzoletto bianco. Fin da bambino, Rudolf non aveva capito se la donna stesse leggendo una lettera oppure tenesse in mano un fazzoletto per asciugare le lacrime. Adesso si avvicina al quadro, e mentre s’immerge nei colori e nelle linee i signori e le dame cominciano, d’un tratto, a muoversi pian piano davanti a lui; lui stesso muove dei passi, sente la ghiaia fine della strada e va verso la dama che sta immobile guardando verso di lui. E ora, di colpo, lo sa: lei sta leggendo una lettera, una lettera che lui le aveva scritto molto tempo prima. “Finalmente sei venuto, amore” lei grida, facendo cadere la lettera. “Ti ho atteso senza posa, scrivevi che saresti venuto; ma ora sei con me e tutto va bene”. Si baciarono e si persero nel folto della bosco. Quando venne la sera, tornarono al castello dov’era imbandito un sontuoso banchetto. Dame e cavalieri salutarono il ritorno dei castellani e presto gli amanti riposarono in una stanza tutta adorna. Il canto degli uccelli risuonava nei loro sogni mattutini, e così trascorsero molti giorni e molte notti illuminate dalla luna cangiante. Giochi, banchetti, giornate di caccia, conversazioni pensose favevano scorrere velocemente il tempo; gioia e festosità giovanile erano finalmente tornate a rallegrare quelle stanze rimaste a lungo silenziose e deserte. “Tutto ti appartiene” gli aveva detto la bella dama. “Solo, non puoi aprire una porta se non vuoi perdere tutto, se non vuoi che io perda tutto.” Ma in un silenzioso pomeriggio il castellano stava appoggiato alla finestra, nel corridoio, e guardava giù in giardino, dove il fogliame cominciava a cambiare colore; d’improvviso gli sembrò di essere chiamato, chiamato con un nome che oscuramente conosceva e che però non era il suo. La voce sembrava venire da una camera in cui non era ancora stato. Aprì la porta, la stanza era completamnete vuota, ma la voce sembrava uscire dalla parete. Il castellano si avvicinò e vide una camera dipinta, come la voce che lo chiamava aveva qualcosa di oscuramente noto. I mobili lo guardavano come da tempi lontani. Il quadro mostrava sullo sfondo, sulla parete della camera che vi era dipinta, un altro quadro; il vocio, però, proveniva dalla porta dipinta. Rudolf ascolta sempre più stupito, ed ecco che si trova in mezzo alla stanza dei genitori, la porta non più dipinta si spalanca e la fidanzata grida: “Rudolf, quando vieni, quanto devo ancora aspettarti? La carrozza è già pronta! Vuoi farmi perdere tutto il giorno, per colpa dei tuoi capricci?”. L’uomo ebbe solo un lieve trasalimento, poi prese la mano della fidanzata e insieme a lei si avvicino al vecchio quadro. “Taci! Non vedi che piange? Quello è un fazzoletto, non una lettera”. La ragazza non ha certo compreso il senso di questa esclamazione, la passeggiata in carrozza del sognatore deve essere stata indubbiamente strana.
Fin qui il racconto fiabesco non ha niente di speciale, ma è a doppia porta. L’ultima frase di Rudolf è piuttosto sentimentale, ma fornisce il qui pro quo: il binomio fazzoletto-lettera appartiene a questa struttura che già di per sé è artificiosa. Ma vi rientra anche e significativamente una cosa piu attinente, una cornice che scompare due volte. Prima la cornice del quadro con il castello, nella stanza dei genitori, poi la cornice del quadro con la stanza dei genitori nel castello. Del resto, il castello si trova molto rimpicciolito anche all’interno di se stesso, cioè sulla parete dipinta della camera dipinta nella stanza proibita. Oltre al motivo cinese – l’entrare nel quadro – si possono così anche notare i giochi di scatole giapponesi negli specchi che riflettono se stessi (ma si può anche pensare alla “Singolare storia di fantasmi” nel Tesoretto dell’amico di casa renano di Hebel, in cui l’almanacco è appeso al camino con una corda, di modo che il signore potrebbe quasi leggere la propria storia, che sta giusto vivendo, ancora una volta con dentro il camino e l’almanacco dell’ “amico di casa” appeso, riflesso all’infinito). Nondimeno, il viaggio di Rudolf in cerca di una sposa fa prevalere il motivo cinese dell’entrare nel quadro; almeno all’inizio, poiché poi viene abbandonato tanto piu coscientemente. In effetti, l’entrata nel quadro prima viene compiuta poi revocata, per cui la cornice, sparendo due volte, finisce per trasformarsi in una sorta di porta girevole.
Ma questa dove conduce? Certo a un bene di proprietà del senso poetico, anche se non è chiaro dove si trovi quel bene. Qui comunque, in questa storia a spirale, il visitatore è respinto di nuovo indietro, resta semplicemente sfiorato dal sogno. La vita quotidiana si riprende Rudolf e purtroppo nella fiaba è questa la cosa piu giusta. Sempre che lo sguardo d’argento che egli aveva rivolto alla donna, alla figura in attesa, non venga preso per moneta contante che non vale ancora.

da Tracce –
Ernst Bloch

“Nell’incognito di Isaac Leib non c’é nulla che sia chiavi in mano, per così dire: forse c’è una vera chiave e una casa già pronta, ma la chiave non gira, non apre nemmeno un poco, né a metà della “porta degli angeli”, forse proprio perchè è vera”.
https://youtu.be/RfjP_e6NJ_w

“E tutto si volse ben presto in lode dell’impostore che ogni giorno deve riconquistare il suo sogno.”

“Ogni sogno resta sogno perché troppo poco ancora gli è riuscito, si è compiuto. Perciò esso non può dimenticare ciò che resta, in tutte le cose mantiene la porta aperta.”

Il benevolo lettore avrà la compiacenza di ricordarsi di aver già ascoltato o letto altrove vari racconti e aneddoti qui raporesentati, fosse solo soltanto del Vademecum, l’autore avendoli in parte colti egli stesso da quel terreno o pascolo comune. Ma non appagandosi della loro trascrizione pura e semplice, bensì sforzandosi di confezionare per questi pargoli della burla e dell’umore anche un abitino grazioso e divertente; e se in tal veste riusciranno graditi al pubblico, egli avrà realizzato un desiderio a lui caro, e non pretenderà più alcunchè dagli stessi pargoli. Del resto, dice la libera editrice, il meglio non si trova subito all’inizio ma nel mezzo e – come in una balla di tessuto – alla fine del volumetto, anche l’ultimo campione del quale è stato ritagliato dal Morgenblatt. Essa conta su molti lettori che, come i seguaci della legge mosaica, iniziano a leggere là dove gli altri smettono.”

J.P. Hebel