Video: Adrienne Rich reads “What Kind of Times Are These?”

There’s a place between two stands of trees where the grass grows uphill
and the old revolutionary road breaks off into shadows
near a meeting-house abandoned by the persecuted
who disappeared into those shadows.

I’ve walked there picking mushrooms at the edge of dread, but don’t be fooled
this isn’t a Russian poem, this is not somewhere else but here,
our country moving closer to its own truth and dread,
its own ways of making people disappear.

I won’t tell you where the place is, the dark mesh of the woods
meeting the unmarked strip of light —
ghost-ridden crossroads, leafmold paradise:
I know already who wants to buy it, sell it, make it disappear.

And I won’t tell you where it is, so why do I tell you
anything? Because you still listen, because in times like these
to have you listen at all, it’s necessary
to talk about trees.

Adrienne Rich

*
Veramente, vivo in tempi bui.
La parola disinvolta è folle. Una fronte liscia
indica insensibilità. Colui che ride
probabilmente non ha ancora ricevuto
la terribile notizia.

Che tempi sono questi in cui
un discorso sugli alberi è quasi un reato
perché comprende il tacere su così tanti crimini!
Quello lì che sta tranquillamente attraversando la strada
forse non è più raggiungibile per i suoi amici
che soffrono?

È vero: mi guadagno ancora da vivere
ma credetemi: è un puro caso. Niente
di ciò che faccio mi da il diritto di saziarmi.
Per caso sono stato risparmiato. (Quando cessa la mia fortuna sono perso)

Mi dicono: mangia e bevi! Accontentati perché hai!
Ma come posso mangiare e bere se
ciò che mangio lo strappo a chi ha fame, e
il mio bicchiere di acqua manca a chi muore di sete?
Eppure mangio e bevo.

Mi piacerebbe anche essere saggio.
Nei vecchi libri scrivono cosa vuol dire saggio:
tenersi fuori dai guai del mondo e passare
il breve periodo senza paura.

Anche fare a meno della violenza
ripagare il male con il bene
non esaudire i propri desideri, ma dimenticare
questo è ritenuto saggio.
Tutto questo non mi riesce:
veramente, vivo in tempi bui!

Voi, che emergerete dalla marea
nella quale noi siamo annegati
ricordate
quando parlate delle nostre debolezze
anche i tempi bui
ai quali voi siete scampati.

Camminavamo, cambiando più spesso i paesi delle scarpe,
attraverso le guerre delle classi, disperati
quando c’era solo ingiustizia e nessuna rivolta.

Eppure sappiamo:
anche l’odio verso la bassezza
distorce i tratti del viso.
Anche l’ira per le ingiustizie
rende la voce rauca. Ah, noi
che volevamo preparare il terreno per la gentilezza
noi non potevamo essere gentili.

Ma voi, quando sarà venuto il momento
in cui l’uomo è amico dell’uomo
ricordate noi
Con indulgenza.

Bertolt Brecht

*
Ho resistito a questo per anni, a scriverti come se tu potessi udirmi. E’ stato diverso con mio padre: fra lui e me c’era sempre una specie di continua retorica, una nostra battaglia, non importava se uno di noi era vivo o morto. Ma tu, ho sempre avuto la sensazione di proteggere la tua esistenza, di non usarla come mero spunto per poesia o per riflessioni tragiche; di lasciarti dimorare nella mente di chi giustamente sente la tua mancanza; a tuo modo, a loro modo, non al mio. I vivi, specie gli scrittori, fanno terribili proiezioni di sé. Odio il modo in cui usano i morti.
Eppure non posso concludere senza parlare a te, non semplicemente di te. Tu lo sapevi che era rimasto più del cibo e dell’umorismo. Già quando lo dicesti nel 1953 io lo sapevo che avevi trovato questa formula per interporla fra te e il dolore. Le crepe profonde del pumpernickel nero sotto il coltello, il burro e le cipolle rosse che mangiavamo sulle fette; salmone e crema di formaggio sui panini alla cipolla freschi; ciotole di panna acida mescolata con ravanelli a fette, cetrioli, scalogne; pomodori verdi e sottaceti all’aneto, kasher, nella carta oleata; questi, dicevi, erano gli scampoli della cultura, insieme alla challah fresca che diventava subito rafferma ma era così bella a vedersi.
Ecco perché voglio parlarti ora. Per dire: chi cerca di assumersi la responsabilità della propria identità non dovrebbe sentirsi solo. Dobbiamo poterci sedere e piangere fra la gente, e ciò nonostante restare guerrieri. (Preparo per te questo strano pacchetto di rabbia e lo lego con amore). Pensavi, credo, che un posto simile non esistesse per te, e forse allora non c’era, e forse non c’è nemmeno ora; ma dovremo costruircelo, noi che vogliamo una fine della sofferenza, noi che vogliamo cambiare le leggi della storia, se non vogliamo tradire noi stessi.

Adrienne Rich