Giorgio Caproni e Manuel Machado 

Può ben capitare, al recensore stanco, di inventarsi una buona volta il poeta ch’egli vorrebbe recensire, ma che non esiste, no. Ed è così, forse, che ci siamo “inventati”, anche per toglierci di dosso l’uggia novembrina (piove da tre giorni tiepidamente: sciroccamente e ‘intimisticamente’, tanto che ci siamo messi a fare le fusa appannando i vetri della finestra) questo nostro Manuel Machado, per puro caso ricuperato dal dimenticatoio dove, chissà quanto tempo fa, l’avevamo messo. Sarà proprio Manuel, e proprio Machado? Ahimè che in questo momento non ritroviamo più, per colpa dei muratori che hanno messo sossopra la stanza, il prezioso originale dal quale avevamo tolto i nostri impavidi ‘esercizi di traduzione’ (e ci vuole un bel fegato, dal momento che lo spagnolo lo conosciamo solo di vista, e col cannocchiale del vocabolario ), con correzioni e variazioni di pugno dello stesso Autore, il quale affettuosamente e sempre di proprio pugno, aveva dedicato la copia pervenuta a noi da una bancarella all’amico, y poeta, Chábas. Mistero di certi trapassi, intorno ai quali, ora, è inutile tentare il romanzo. Ci contentiamo di dire, da minutant dell letteratura e della fantasia quali siamo, che il ‘rittobsment’ per noi, Mai sarebbe potuto avvenire più a fagiolo (o più a pepe) come in queste uggiose e ronfanti giornate, nelle qual abbiamo visto la nostra umida stanza (tanto umida da far gonfiare le sigarette se non ci sbrighiamo a fumarle in un’ora) illuminarsi del sale (roto, scriviamo sale e non sole, anche se sarebbe giusto ugualmente) di Spagna e degli occhi neri, e sivigliani, di Amparo, Ana, Rosario, Concha, Carmela, Pura, Remedios, Pastora, belle ragazzone per fortuna invisibili (mai così vive e dolci, e così delicate e forti di vene) nell’attimo in cui stiamo scrivendo, o rileggendo, i loro semplici nomi. Manuel Machado, già. Da undici anni è morto, quasi da dodici ormai (morì nel gennaio del ’47, settantatreenne), e chi fra i giovani, che non sia specializzatato, continua oggi, in casa nostra a ricordarlo e ad usarlo, ossia a leggerlo quindi ad amarlo? Disgrazia, nella fortuna, da aver avuto un fratello ‘maggiore’, così parallelamente accaduto, forse, al nostro Angiolo Silvio Novaro. In verità Maniel aveva un anno più di Antonio, e quindi il maggiore, anagraficamente era lui. Ma a farlo ‘minore’ in porsia, minore per modo di dire, quanto può esserlo uno dei componenti la ‘grande generazione del ’98, sta proprio il suo maggiore attaccamento alla vita e alla terra (r che vita, e che terra), il quale appunto gli impedì, non sembri un paradosso, di amarla fino a farla scomparire dalla superficie delle sue parole, per farla invece entrare nel loro sangue, e quindi, come quando leggiamo Antonio, nel nostro stesso sangue, vita a tutti noi pertinente, e non soltanto a lui, egoistone. Bibliotecario, giornalista, saggista e, in collaborazione col fratello, autore di varie opere teatrali, l’amore per la poesia – si dice – gli scese letteralmente nelle vene dal padre, studioso autorevole di sabrer popular e appassionato raccoglitore di canti andalusi; e invero un fondò risentitamente popolare resta nelle parole di Manuel, molti dei cui cantares e delle cui coplas sono entrati ormai a far parte della viva voce, che li ritiene d’anonimo autore, nonostante l’amore forte per i parnassiani e i decadenti (e per Carducci e D’Annunzio) e, in primo luogo, per Verlaine. ‘Mezzo gitano e mezzo parigino’ è la definizione che Manuel ci lasciò di se stesso. Ma se del parigino gli rimase sempre l’amore per la polita fattura del verso, forse il gitano predomina anche nell’intraducibile accento del linguaggio nonché nell’acerrima tristezza riscontrabile in ogni sua composizione, comprese le più ‘allegre’, da Alma (1900) a Cante Hondo (1912), da Servilla (1920) ad Ars moriendi e a Dedicatorias (1922), tanto per citar qualcuna delle sue numerose raccolte. Ma di tutto questo, ora, che importa? Siamo o non siamo, anche noi, popolo? E allora (è il più gradito omaggio che possiamo fare) dimentichiamo Manuel Machado e tutte le poche cose che siamo in grado di dire su di lui col nostro semplice Diploma di recensori, e contentiamoci anche noi di ascoltare, stonate come riesce a restituirle la nostra voce, a ‘cantare’ anonimamente il gruppetto di versi che, per puro caso, abbiamo ritrovato nella nostra stanza a soqquadro.
 
da Quaderno di Traduzioni –
Giorgio Caproni
 

Dice la chitarra

Parlo, singhiozzo, deliro,
e so del riso e del pianto.
Con le bocche rosse, canto.
Con gli occhi neri, miro.
Con gli innamorati, sospiro,
e rido coi buontemponi.
Le note son goccioloni
di cui il roseto si bagna…
E tutto il sale di Spagna
è vivo nei miei lacrimoni.

Una canta una canzone

Finché non le canta il popolo
le strofe non sono strofe,
e quando le canta il popolo
nessuno sa piú l’autore.
Questa è la gloria, Guillén,
di chi compone canzoni:
sentir dire la gente
che non le ha scritte nessuno.
Fa’ in modo che le tue strofe
finiscano tra il popolo,
e cessino d’esser tue
per essere degli altri.
Ché a fondere il proprio cuore
con l’anima popolare,
ciò che si perde del nome
s’acquista d’eternità.

La pioggia

Ebbi una volta amori.
Oggi è dí di ricordi.
Ebbi una volta amori.
Ebbi sole e allegria,
Un dí, ormai lontano…,
ebbi sole e allegria.
Di tutto, che mi è rimasto?
Di colei che mi amava,
di tutto, che mi è rimasto?
L’aroma del suo nome,
il ricordo degli occhi,
e l’aroma del nome.

Alegrías

Ad ogni primavera
nasce a Siviglia
una canzone nuova
di seguidillas.
Garofani nuovi
e bimbe che a maggio
si fanno donne.
“Sivigliana” è la strofe,
di grazia morbida,
dove ballano e scherzano
le parole stesse.
Vespa dorata
che sa di morire
se per caso punge.
“Sivigliano” è il ballo
che trama in terra
arabeschi d’amore,
reti al piacere.
Mentre le braccia
disegnano in aria
le disillusioni.
Sivigliane… Amparo,
e Ana e Adela.
Sivigliane, Rosario,
Concha e Carmela,
Pura, Remedios, Pastora…
E tutte con gli occhi neri.
“Sivigliane”: scongiuro
che fa allegra l’anima.
Ballo, donna e strofa
son sivigliane.
Ed ormai si sa
che Siviglia è piena
di sole e di sale.
Ad ogni primavera
esce in Siviglia
una canzone nuova di
seguidillas

Manuel Machado –
trad. Giorgio Caproni

 

 
in copertina
Vernis Paysage –
Antoni Tapies