Il colore venuto dallo spazio – Mark Rothko

[..] Nel 1927, H.P. Lovercraft pubblicò in una rivista popolare uno dei suoi racconti più notevoli: Il colore venuto dallo spazio.
Riassumiamolo: mentre attraversa la Nuova Inghilterra, un viaggiatore giunge in una regione singolarmente desolata. Cerca di conoscere il motivo, e finalmente incontra un individuo che gliene racconta la straordinaria storia. Alcune decine di anni prima una meteora era caduta in quella regione, e numerosi scienziati erano venuti a studiarla, ne avevano portato alcuni frammenti nel laboratorio, scoprendo in essi proprietà fisiche e chimiche sconcertanti:

[..] Eccitatissimi davanti allo spettroscopio, produssero diversi fasci luminosi di tutti colori conosciuti negli spettri normali; si parlò anche di nuovi elementi, di bizzarre proprietà ottiche, e di tutte quelle cose a cui gli scienziati abitualmente ricorrono trovandosi di fronte a qualcosa di inspiegabile [..]

In seguito si scoprì nella pietra una sorta di seme, un nucleo il cui

[..] colore assomigliava a quello di certi fasci presenti nello strano spettro della meteora, quasi impossibile da definire; e soltanto per analogia lo si chiamò un colore [..] Un professore colpì delicatamente quella cosa con un martelletto, ed essa esplose con un rumore secco. Nessuna emissione, e ogni traccia della cosa scomparve, lasciando un buco sferico [..]

Dopo l’apparizione di quel colore sconosciuto cominciano a verificarsi strani fenomeni. Aleggia nelle vicinanze, corrompe gli altri colori, distrugge gli oggetti e gli esseri viventi che riesce a raggiungere. Poi un giorno risale verso il cielo in una sorta di lampo.
Il narratore conclude:

Che cosa fosse, Dio solo lo sa. In termini materiali, immagino che ciò che Ammi mi ha descritto dovrebbe definirsi un gas, ma esso obbediva a leggi che non sono del nostro mondo. La cosa non veniva dal nostro universo e dai soli che brillano nei telescopi e sulle lastre fotografiche dei nostri osservatori. Non era affatto un’emanazione dei cieli di cui i nostri astronomi misurano le dimensioni e i movimenti, o che essi giudicano troppo vasti per poterli misurare. Era solo un colore venuto dallo spazio – un spaventoso messaggero dei regni informi dell’infinito, al di là di qualsiasi natura a noi nota [..] Con quella meteora qualcosa di terribile accadeva in queste colline e in queste valli, e qualcosa di terribile – ma non so dire in che misura – vi si aggira ancora.

Quel lontano assoluto che ossessionò Lovercraft gli appare terribile, ma spesso può verificarsi un brusco capovolgimento, al punto di chiedersi se quel che appare infernale non sia più propriamente paradisiaco; in ogni caso, dopo l’intrusione di quel colore estraneo, le cose non possono più conservare il loro aspetto abituale. La loro antica apparenza è distrutta. [..]

Ecco Rothko

Esaminiamo in qual modo Rothko saprà dare alla luce captata sul proprio schermo un carattere di estraneità, e come, di conseguenza, ne farà regredire l’origine il più lontano possibile, rendendo la propria arte una sorta di preghiera a un dio sconosciuto.
Tutte le macchie sono contornate dal margine in ogni lato, e Rothko si sforza di far trasparire in certi punti il colore marginale nelle macchie stesse, dandoci l’impressione che esse siano proiettate su un fondo monocromo, come se tutto lo schermo fosse dapprima colorato con la stessa sfumatura: ma questo è falso, poiché in realtà, in altri punti, è il bianco a essere usato come fondo per conferire alla macchia la sua massima luminosità. La pittura che egli stende sembra dunque avere inesplicabili proprietà.
Il margine è il quadro stesso come oggetto; le zone perfettamente monocrame sono quelle in cui non accade niente, quelle non ancora corrose dall’assunzione del colore estraneo. La tinta del margine è quindi la notte del tempo presente, ma comunque una notte trasfigurata in rapporto a ciò che non si trova nel quadro; è la notte che precede l’annunciazione: è il colore dell’attesa. Non sorprende dunque che per anni Rothko abbia adottato per essa dei blu notturni piuttosto chiari, oppure tutti i tipi di rosa, d’aurora..
Fondamentalmente estranea, questa luce potrà apparirci solo decomponendosi, per cui ne deriva la necessità che vi siano almeno due macchie su quel margine. Ogni elemento e ogni polo che definisce tale luce può essere a sua volta d’approssimazione molto ardua: Rothko ce lo renderà evidente sdoppiandola. La macchia iniziale sarà sostituita da due macchie di colori molto vicini, provocando un sorprendente cambiamento di scala. Alla sua definizione, aggiunge un differenziale. È come se ci dicesse: “Bisogna concepire le macchie una e due come diverse l’una dall’altra, quanto lo sono le macchie due e tre. Così, si verifica una sorta di movimento cromatico”.
Infine, questa luce ci viene presentata come attiva: Nelle tele dal 1947 al 1950 le macchie si ingrandiscono a poco a poco fino a divorare tutta la superficie della tela, lasciando sussistere unicamente il margine che occorre loro per apparire come macchie. Anche i diversi elementi in cui la luce fondamentale si divide sono attivi gli uni in rapporto agli altri, la loro prossimità li intensifica, crea movimenti nella loro intimità; sono più o meno densi, più o meno agitati, più o meno perturbati da ciò che è loro vicino. In generale, i rettangoli hanno la stessa larghezza, ma può accadere che uno si espanda, si disperda nel margine, sia verso il basso sia lateralmente, soprattutto se si trova in mezzo agli altri Può accadere che il contatto della luce col margine produca un fenomeno di frontiera, l’apparizione di una sfumatura che è solo la relazione delle altre due, una relazione a volte completamente diversa da quella che ci saremmo aspettati, l’espressione della loro lotta, non della loro affinità.
Ma quel che rafforza potentemente questa impressione d’attività è la simmetria generale, che nel modo più perentorio ci mostra che il lato destro è identico al sinistro. Poiché nel dettaglio le sbavature differiscono le une dalle altre, abbiamo l’impressione che quelle di destra potrebbero benissimo stare a sinistra, è tutta questa frontiera imprecisa ma ritmata si anima: vediamo le macchie bruciare il fondo su cui appaiono, proprio come un’intensa macchia di sole, proiettata nell’ombra di una soffitta da una lucerna, palpita davanti al nostro sguardo, con i bordi frementi. [..]
da Le Moschee di New York
o L’arte di Mark Rotko
Michel Butor

Whitw ovwe Red, 1957
White over Red, 1957

 

***
“Fu con estrema riluttanza che mi resi conto di come la figura non fosse più utile ai miei scopi [..] Venne un momento in cui nessuno di noi riusciva più a utilizzare la figura umana senza mutilarla.”

 

N. 21, 1949
N. 21, 1949

 

” L’evoluzione del lavoro di un pittore, nel suo spostarsi da un punto all’altro nel tempo e nello spazio, ha come obiettivo la chiarezza. Ossia l’eliminazione di tutti gli ostacoli tra il pittore e l’idea, e tra l’idea e l’osservatore. Cito, tra i vari ostacoli, il ricordo, la storia e la geometria. In essi ristagnano innumerevoli generalizzazioni, da cui si potrà forse estrarre la parodia di un idea, il suo fantasma, ma mai l’idea stessa. Se il pittore raggiunge questa chiarezza sarà, necessariamente, compreso.
(Rothko, esponendo il Dipinto n. 9 del 1948)

 

N.9, 1948
N. 9, 1948

 

Violet, Black, Orange, Yellow on White, 1949
Violet, Black, Orange, Yellow on White, 1949

 

White Center, 1950
White Center (Yellow, Pink and Lavander on Rose, 1950

 

N.3 Magenta, Black, Green om Orange, 1950
N.3 Magenta, Black and Green on Orange, 1950

 

” Se ho esitato a usare oggetti quotidiani è perché mi rifiuto di mutilarne l’apparenza a beneficio di un’azione che non possono più svolgere, o per la quale forse non sono stati concepiti. [..] È meglio essere prodighi che avari. Preferirei conferire attributi umani a una pietra piuttosto che rendere disumana una sia pur minima possibilità di coscienza.”

 

, 1953
Untitled – Purple, White and Red, 1953

 

” Penso ai miei dipinti come a opere teatrali: le forme che appaiono sono gli attori sul palcoscenico. Nascono dall’esigenza di trovare un gruppo di interpreti in grado di muoversi sulla scena senza imbarazzo e di compiere gesti teatrali senza vergogna. Non è possibile prevedere né descrivere quale sarà l’azione o chi saranno gli attori. Tutta ha inizio come in un’avventura sconosciuta, in un mondo mai visto prima. E’ solo nel componimento di questa avventura che ci rendiamo conto, come per un’illuminazione improvvisa, che ciò che si è concretizzato sulla scena è proprio quello che deve concretizzarsi. Tutti i programmi, tutti i concetti che avevamo all’inizio erano solo una via di uscita che ci ha permesso di abbandonare il mondo da cui questi concetti hanno avuto origine.” 

 

Yelloe, Red and Blue, 1953
Yellow, Red and Blue, 1953

 

dark over light earth, 1954
Dark over light earth, 1954

 

Red and Orange, 1955
Red and Orange, 1955

 

” Vorrei aggiungere alcune considerazioni riguardo ai dipinti di grandi dimensioni [..] I quadri che dipingo sono molto grandi. So bene che, storicamente, dipingere grandi quadri ha significato assolvere una funzione legata alla pompa e alla sontuosità. Tuttavia, la ragione per cui io li dipingo è diametralmente opposta: il mio intento è l’intimità e l’umanità. Dipingere un quadro piccolo significa situarsi al di fuori della propria esperienza, significa osservarla attraverso una lente che la rimpicciolisce e l’allontana. Un quadro di grandi dimensioni, in qualunque modo lo si dipinga, permette al contrario di entrare a far parte di esso. È’ ineluttabile.”

 

earth & Green, 1955
Earth and Green, 1955

 

Black, Ochre, Red over Red, 1957
Black, Ochre, Red over Red, 1957

 

Composition, 1958
Composition, 1958

 

 [Rothko elenca alcuni “ingredienti” che ritiene necessari alla pittura]
” Una chiara consapevolezza della morte. Tutta l’arte è in rapporto con la morte.
Sensualità, indispensabile per rappresentare il mondo in modo concreto.
Tensione, ossia conflitti o desideri che nell’arte sono dominati nel momento stesso in cui si manifestano.
Ironia, un ingrediente moderno (i greci non ne avevano bisogno). Una forma di cancellazione di sé, al tempo stesso di autoanalisi, con cui l’uomo può, almeno per un istante, sfuggire al proprio destino.
Arguzia, umorismo. Qualche grado di effimero e qualche grammo di casuale.
Un dieci per cento di speranza… Solo se ne avete bisogno; i greci non ne avevano.”

 

Red on Maroon, 1959
Red on Maroon, 1959

 

n.14, 1960
N. 14, 1960

 

Indicazioni di Rothko riguardo all’Installazione della sua mostra personale alla Whitechapel, Art Gallery di Londra nel 1961: 

” Colore delle pareti: il colore delle pareti deve discostarsi decisamente dal bianco, tendere al beige, reso piu caldo con un tono di rosso. Se le pareti sono troppo bianche, si crea contrasto con le tele, le qualo, a causa della loro predominanza di rossi, tenderanno al verdognolo. Illuminazione: è importante che la luce, quella naturale come quella artificiale, non sia troppo forte. Poiché i dipinti possiedono una loro luminosità interna, un’eccessiva luce nell’ambientebrende il colore slavato e compromette l’aspetto complessivo delle opere. L’ideale sarebbe installare le tele in una stanza illuminata normalmente, così come quando vennero dipinte. [..] Potranno essere illuminate in due modi: o da molto lontano, oppure indirettamente, indirizzando la luce verso il soffitto o il pavimento. E’ fondamentale che la tela sia illuminata in modo dolce e uniforme. Distanza dal pavimento: tutte le tele piu grandi devono essere installate il piu vicino possibile al pavimento, l’ideale sarebbe un’altezza non superiore ai quindici centimetri. I quadri piu piccoli dovranno essere posti lievemente piu in alto, ma mai in prossimità del soffitto. Lo ripeto: devono essere esposti in questo modo, a questa altezza. Se non si rispettono queste indicazioni, le proporzioni dei vari rettangoli subiscono distorsioni e il dipinto cambia completamente aspetto. [..] Disposizione: nella mostra al Museum of Modern Art, si è deciso di raggruppare e di sistemare in un unico blocco tutti i lavori a partire da quelli della mostra del 1049, separando gli acquarelli dal resto. Il secondo blocco era, invece, costituito da pannelli murali, esposti tutti insieme. Unica eccezione può essere la tela del Signor Rubin, White and Black on Wine (1958), che può rientrare in questo secondo gruppo, ma a condizione che sia installata a un’altezza leggermente superiore rispetto agli altri quadri essendo un’opera di transizione tra i primi lavori di quell’anno e la serie dei pannelli murali. Per quanto riguarda le restanti opere, è preferibile non seguire un ordine cronologico, disponendole secondo un criterio che tenga conto dell’effetto prodotto dall’una accanto all’altra, cercando di raggiungere la più alta armonia possibile. Per esempio, nella mostra al Museum of Modern Art, raggruppando insieme tutte le tele più chiare – i gialli, gli arancio e così via – si era ottenuto un effetto molto intenso. [..] Sarebbe altamente auspicabile l’allestimento di uno spazio simile anche nella vostra galleria.”

 

N.16, 1961
N. 16, 1961

 

Bright blue, Brown, Dark Blue on Wine, 1962
Bright Blue, Brown, Dark Blue on Wine, 1962

 

” Alcuni artisti vogliono dire tutto. Ma io credo che sia più profondo dire poco. I miei dipinti vengono a volte chiamate “facciate”, e in effetti lo sono.”

 

N. 4, 1964
N. 4, 1964

 

n.2, 1964
N.2, 1964

 

n.5, 1964
N. 5, 1964

 

n.3, 1967
N. 3, 1967

 

” Il più importante strumento che, con la pratica, l’artista forgia per se stesso è la fede nella sua capacità di compiere miracoli al momento opportuno. I quadri devono essere miracolosi. Nell’istante in cui un quadro è terminato, ha fine l’intimità tra la creazione e il creatore. Per lui, come per chiunque altro, il quadro dovrà essere una rivelazione, la soluzione inattesa e inedita di un problema che da sempre gli urge dentro.”

 

Untitled (lue divided by Blue), 1966
Untitled (Blue divided by Blue),1966

 

Black, Red and Black, 1968
Black, Red and Black, 1968

 

” Il dipinto non può vivere nell’isolamento. Ha bisogno dello sguardo di un osservatore sensibile per potersi ridestare e sviluppare. Senza quello sguardo il dipinto muore. Ogni volta che ci si congeda da un’opera e la si consegna al mondo si compie un gesto rischioso e spietato. Quante volte il nostro dipinto sarà irrimediabilmente offeso dallo sguardo volgare o crudele di coloro che vogliono riempire l’intero universo della loro meschinità, della loro impotenza! “

 

Untitled, 1968
Untitled, 1968

 

” Non credo che sia mai stata questione di essere figurativi o astratti. Piuttosto si tratta di porre fine a questo silenzio e a questa solitudine, di dilatare il petto e tornare a respirare.”

 

Brown and gray, 1969
Brown and Gray, 1989

 

Untitled, 1969
Untitled, 1969

 

Black and Gray, 1970
Black and Gray, 1970

 

Untitled, 1970
Untitled, 1970

 

***

 

Blue and gray, XX cent.
Blue and Gray, XX cent.

 

Gentile Signor Goodrich,

sono stato informato da Betty Parsons della Sua richiesta relativa all’invito di due miei quadri da sottoporre all’esame della commissione preposta alle acquisizioni del museo. Trovandomi nella impossibilità di accettare il Suo cortese invito, mi affretto a inviarLe per tempo queste mie osservazioni.
Mi rivolgo a Lei personalmente in quanto, avendo già avuto modo di scambiare con Lei alcune idee non estranee all’argomento in questione, in occasione della mostra annuale organizzata dal Suo museo, mi sembra che possano esistere le basi per una comprensione reciproca. Il mio rifiuto di partecipare alla mostra del Witney si basava, allora, sulla convinzione che il significato più autentico, più essenziale delle mie opere sarebbe andato perduto, o quanto meno sarebbe stato distorto, in quell’ambito. Trattandosi ora della possibilità di un acquisto da parte del museo, ingannerei me stesso se cercassi di convincermi che la situazione sarebbe diversa se le mie opere fossero ospitate nella Sua esposizione permanente. Poiché sento un profondo senso di responsabilità per l’esistenza che le mie opere andranno a condurre nel mondo, accetto con gratitudine qualsiasi occasione espositiva in cui si salvaguardi la loro vita e il loro significato, così come mi sento in dovere di evitare tutte quelle situazioni in cui credo non sia possibile.
So che queste mie parole potranno essere intese come un atto di arroganza. Ma Le assicuro che nulla è più lontano da me, che provo invece una profonda tristezza per la situazione in cui mi trovo. Non posso infatti non constatare che, al di fuori del Suo museo, esistono ben poche alternative per il mio lavoro. Ma sento l’esigenza di mantenere, se non altro nella vita, una certa coerenza tra le mie idee e le mie azioni, se voglio poter continuare a vivere e a lavorare. Spero di essere riuscito a spiegarLe la mia posizione.

In fede,
Mark Rothko

Red, XX cent.
Red, XX cent.

dal libro Mark Rothko, Scritti
Ed. Abscondita

 
* in copertina
lo studio di Rotko a New York

 

https://youtu.be/FsEbrhv2jGY