Attila József e Avi Mograbi

O Europa

O Europa, quante piaghe porti in te,
ed in ciascuna piaga gli assassini;
non lasciare ch’io pianga la ragazza
che dovrà partorire entro due anni.

Non permettere ch’io divenga triste:
mia sorella Lucia mi attende a casa;
c’è la paura dentro gli assassini:
e dentro la paura c’è la morte.

Scrivo poesie perché tu ti diverta,
perché porga la mano chi è rimasto;
cadranno muti anche questi miei versi
in mezzo alle consorterie dei letterati.

Una mosca è affogata dentro al latte,
il mare copre la cima del monte,
e una tavola pronta, apparecchiata
nuota sopra le onde ormai sazie.

Chi potrà svegliare…

Dalla fronte di sterili colline
abbiamo tratto pensieri indagatori di stelle,
e su, fino alle altezze
ora lanciamo macchine volanti,
e con le loro orbite immense
abbiamo circondato l’impero delle ali,
con le locomotive pattiniamo su terre lontane
e domani da navi elettriche getteremo le redini
sulle criniere dei mari ruggenti.
Ma uomini, uomini!
chi si accorgerà allora
che bisogna lavare la nostra tavola,
chi dirà alle donne
che bisogna spazzare la tristezza,
chi pianterà giardini nei nostri occhi,
chi nella nostra anima sveglierà l’anima?

Gli uomini che verranno

Adesso parlo degli uomini che verranno..

Essi saranno la forza e la mitezza,
faranno a pezzi la. maschera di ferro della conoscenza,
perché si veda l’anima sul volto.
Baceranno il pane, il latte,
e con la stessa mano che carezza la testa del loro figlio
spremeranno dalle pietre
il ferro e tutti i metalli.
Costruiranno città sulle montagne,
e i loro polmoni immensi e tranquuilli
respireranno bufere e uragani,
e si placheranno gli oceani.
Sempre ospiti inattesi attenderanno,
apparecchieranno anche per loro
la tavola e il cuore.

Siate simili a loro,
perché i vostri bambini con piedi di giglio
innocenti possano attraversare
il mare di sangue che davanti a loro si apre.

Senza speranza

lentamente, pensosamente

E l’uomo infine arriva ad una piana
sabbiosa, triste e umida: si guarda
intorno, pensieroso, e colla testa
saggia fa cenno, non ha più speranze.

Anche io cerco, senza inganno alcuno,
di guardare dintorno, lievemente.
Sulle foglie del pioppo giuoca un guizzo
argenteo d’ascia. Il mio cuore si siede

sul ramoscello del nulla, il suo corpo
minuscolo rabbrividisce muto:
intorno a lui dolcemente s’adunano,
lo guardano, lo guardano le stelle.

da La grande triade della poesia ungherese
e

Con cuore puro –
Attila József

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* la foto di copertina è di
Seba Kurtis