Il Tratto che nomina, Poemi-pitture nel Mali – Yves Bergeret

La parola affonda le sue radici
nella terra e nel cielo.
Le pietre fuggono strillando.
Le ombre rotolano sulle nuvole.
A ogni battito del cuore del vento
la parola si diffonde. ..

dal poema Tegu dumno abada
di Yves Bergeret

Francesco Marotta, presentando il libro ” Il Tratto che Nomina ” di Yves Bergeret:

” Confort est crime, me dit la source en son rocher” e “ Bâtis l’instable”: tra il richiamo costante alla coscienza insorta di René Char (“Conforto è crimine, mi dice la sorgente nella sua roccia“) e l’imperativo morale e civile che contrassegna emblematicamente la sua intera produzione artistica e poetica (“Costruisci l’instabile“); tra queste due polarità che incessantemente si richiamano e si intrecciano; tra l’esigenza etico-politica che sostanzia ogni atto creativo e la creazione che diventa evento etico-politico in atto, proiezione nel flusso incessante del “grand récit”, nella dimora senza porte della lingua dell’altro, la langue-espace, si snoda tutta la vicenda umana e artistica di Yves Bergeret, di cui “Le trait qui nomme” (“Il tratto che nomina“) rappresenta una sintesi mirabile, unica e irripetibile.

E’ un’opera che non ha eguali nel panorama della letteratura europea, non solo odierna, che abbatte generi e strutture retorico-stilistiche codificate, che mette in discussione, e supera, finanche le coordinate rassicuranti e razionalizzanti della stessa lingua in cui è scritta, proponendo un “corpo- segnico-vivente” che è, contemporaneamente, poesia, arte, creazione, prosa, racconto, pensiero, antropologia poetica, riflessione etnologica, senza mai risolversi in nessuna di queste categorie.

La “carena” dell’arca comune degli uomini è stata concepita proprio qui, in questo lembo di Africa che l’autore percorre passo dopo passo respirandone la vitalità, la creatività e l’energia che lo attraversano come un fiume sotterraneo e le irrisolte contraddizioni, a piedi tra le montagne senza tempo che videro spuntare la prima alba dell’umanità, verso le sorgenti inviolate della parola e del segno, del “tratto che dà un nome” e crea legami che nessuna forma di potere e di oppressione potrà mai sciogliere.

Ne presentiamo la “prefazione“, sperando di potervi dare in seguito almeno alcune pagine di questo autentico capolavoro, di una bellezza elementare, naturale, che non salva il mondo e non lo redime, ma è fatta della stessa sostanza della terra, degli uomini e delle cose, è scritta nella loro lingua e con la loro lingua: il primo passo per “costruire l’instabile“: tracciare il sentiero di una nuova storia.

Prefazione di Yves Bergeret

Nell’agosto del 2000 ho raggiunto per la prima volta queste montagne, nel nord del Mali. Con un’intenzione ben chiara. Montagne tabulari, rilievi aguzzi isolati, forme di una bellezza semplice e come epica, la porta del Sahara. Qualche sorgente, alcuni villaggi, un mosaico di etnie: Songhaï e Dogon tra le rocce; Peul e Tuareg in pianura, con i loro sudditi Rimaïbé e Bella. Pensavo che avrei incontrato, con ogni probabilità, gli attivissimi “posatori di segni”. Sognavo anche di poter iniziare con loro una creazione in dialogo.

Questo libro presenta i miei atti e i miei approcci, le mie esitazioni, le mie gioie e le mie riflessioni, così come li ho scritti al ritorno da ognuno dei miei soggiorni di lavoro tra quelle montagne, a partire dal quarto soggiorno e fino al quindicesimo. Propongo anche, dopo il racconto di due scalate quasi rituali, una sintesi finale che mostra dove mi hanno condotto questi miei ventidue soggiorni. A volte trasporto il lettore nel fuoco dell’azione, qualche altra gli propongo la distanza della riflessione; questa si rende necessaria, tanto numerosi sono stati, e restano, le scoperte così come i misteri, le audacie ma anche le elusioni. Ma, nessuna preoccupazione, il dinamismo della creazione, la gioia profonda dell’ascolto dell’altro ci trascinano tutti con la loro potente corrente.

Le fasi della creazione: da poeta, traccio qui dei segni alfabetici; i pittori contadini senza scrittura appongono dei segni grafici. Lo facciamo insieme, su un solo e unico supporto, tessuto, carta o pietra secondo le circostanze. Così procediamo insieme creando, passo dopo passo, di giorno in giorno, una forma d’opera e un pensiero dello spazio, forma e pensiero di cui gli aspetti, i sensi e le molteplici implicazioni si rivelano solamente un po’ alla volta.

Ho scelto di non ritoccare l’ordine di queste pagine così come di anno in anno le ho redatte, perché anche ciò che può dare l’idea, in qualche occasione, di una penombra, di un curioso ritorno indietro, partecipa sempre a tutti gli effetti di questo processo creativo e della sua comprensione. «Costruisci l’instabile».

Ed ecco l’intero libro:

Il Tratto che nomina – Parte prima

Il Tratto che Nomina – Parte seconda

Ringraziamo la rivista letteraria La Dimora del tempo sospeso per aver fortemente voluto e successivamente pubblicato questo superbo e splendido libro, in particolare il poeta Francesco Marotta che ne ha curato la maggior parte della traduzione, insieme anche ad altri valenti scrittori, poeti e traduttori quali Antonio Devicienti, Marco Ercolani, Lucetta Frisa, Giuseppe Zuccarino, Viviane Ciampi.

[..] Infilo il mio braccio nella montagna, dice Ogo ban, nell’erba, nella nebbia. Attraverso la carne compatta della montagna,
percorro la radice gioiosa del filo d’erba,
scuoto la nebbia e le sue ali abbaglianti
e passo il mio braccio
e tendo le mie dita fino a voi, uomini misteriosi di oggi.

Voi mi incuriosite, vi vedo solo controluce, indistinti, dal fondo della mia grotta. Ma sento che un’altra distanza, non solo quella delle pietre e del vento, ci separa. Mi fate pena nel vostro procedere incurvati
con le vesti che cadono di traverso sulle vostre spalle magre”.

La montagna accresce il vento.
Alta è la falesia, nodoso il ramo dell’albero nel dirupo.
Rara è l’erba coraggiosa.
Più rara ancora la nebbia che brilla, la nebbia che cova la parola nel suo seno; e la parola infine nasce e disperde la nebbia, che sorride. [..]

dal libro “Il tratto che nomina”

~~~

* in copertina
La colomba aveva ragione –
Max Ernst

** le foto all’interno del post
sono di Yves Bergeret