Harold Hart Crane e Carlo Borlenghi

Leggenda

Silenziose come si crede uno specchio
Le realtà affondano nel silenzio vicino…

Non sono pronto al pentimento;
Né a misurare rimpianti. Perché la falena
Non piega nulla più che la fiamma
Ancora implorante. E tremuli
Fra i bianchi fiocchi cadenti
Sono i baci, —
L’unica verità che vale tutto.

Questo va appreso —
Questo scindere e questo bruciare,
Ma solo da quelli
Che ancora si consumano.

Due e poi ancora due volte
(Ancora il souvenir fumante, eidolon
Sanguinante!) e ancora di nuovo.
Fino a che la logica luminosa non è conquistata
Senza sussurri, come si crede uno specchio.

Poi, goccia dopo goccia bruciante, un pianto perfetto
Intonerà una costante armonia, —
Un salto crudele per tutti quelli che danzano
La leggenda della loro giovinezza nel pieno mezzogiorno.

*

Le lettere d’amore di mia nonna

Non ci sono stelle stanotte
Se non quelle della memoria.
Ma quanto spazio c’è per la memoria
In quest’ampia striscia di tenera pioggia.

C’è anche abbastanza spazio
Per le lettere della madre di mia madre,
Elizabeth,
Rimaste schiacciate così a lungo
In un angolo del solaio
Che sono diventate scure e morbide,
Sul punto di dissolversi come neve.

Nella grandezza di un tale spazio,
Ci vuole un passo delicato.
È tutto sospeso a un invisibile capello bianco.
Che trema come rami di betulla che ricamano l’aria.

E allora mi domando: “

“Sono abbastanza lunghe le tue dita da suonare
Vecchi tasti che sono solo echi:
È profondo abbastanza il silenzio
Da riportare la musica alla sua origine
E di nuovo verso di te
Come se tu fossi lei?”

Però condurrei mia nonna per mano
Attraverso molte delle cose che non comprenderebbe;
Così inciampo. E la pioggia continua sul tetto
Con un certo suono di risata lievemente pietosa.

*

Labrador del nord

Una terra di ghiacci stillati
Stretta da arcate di cielo di grigio cemento,
Si lancia silenziosa
Nell’eternità.

“Non è venuto nessuno a conquistarti,
O a lasciarti il più tenue rossore
Sui tuoi seni scintillanti?
Nessun ricordo ti rimane, Oscuro Splendore?”

Ammutolito dal gelo, c’è solo quel mutare dei momenti
Quel viaggio verso nessuna primavera —
Nessuna nascita, nessuna morte, nessun tempo né sole
In risposta.

Possessioni

Testimonia ora questa fede! La pioggia
Che ruba dolcemente direzione
E la chiave, pronta alla mano —che cerca
Un momento di sacrificio (il più terribile)
Attraverso gli assalti totali di mille notti della carne a chiavistelli
Nascosti che scorrono a fatica, —o senza direzione come il cielo
Che attraverso la sua schiuma nera non ha occhi
Per vedere il cippo conficcato del piacere…

Accumula tali momenti in un’ora:
Considera il totale di questa tremula tabulazione.
Conosco lo schermo, il rumore dei colpi in lontano volo
E la pungente mistura che trasuda —
E la pietà, femminile, che sta ferma
Come se fosse a ciò predisposta.

E io, entrando, prendo in mano il cippo
Tranquillo come può esserlo un uomo…
In Bleecker Street, ancora tagliente in un vuoto,
Ferito da cupi e indicibili presagi,
Lo tengo alto contro un disco di luce —
Io, girando e rigirando su spirali contorte di fumo,
La città con le sue vite e i suoi desideri ostinati.

Chi lacerato in questo dilemma, vi muore dissanguato,
Non ha quasi nessuna possibilità di effondersi pietosamente
Sulla pagina la cui cieca somma alla fine brucia
Registri di rabbia e brame di parte.
Il puro possesso, la nuvola inclusiva
Dal cuore di fuoco verrà un giorno, —venne il vento bianco e quasi
Rase al suolo le più splendide pietre in cui sorridono i nostri drammi.

*

Chaplinesque

Noi docilmente ci adattiamo,
Contenti di quelle fortuite consolazioni
Che il vento depone
In tasche sfondate e troppo grandi.

Perché possiamo ancora amare il mondo, noi che troviamo
Alla porta un gattino affamato, e conosciamo
Segreti ripari per lui dalla furia della strada,
O lo accogliamo nel calore di gomiti consunti.

Ci faremo da una parte, e al falso sorrisetto finale
Rallenteremo il verdetto di quell’inevitabile pollice
Che piano appunta l’indice rugoso verso di noi,
Mentre affrontiamo quelle smorte occhiate con quale innocenza
E con quale sorpresa!

E inoltre, queste piccole cadute non sono bugie
Più delle piroette delle canne flessibili;
I nostri funerali non sono, in certo modo, un’impresa.
Possiamo sfuggire a voi, e a tutto tranne che al cuore:
Che colpa abbiamo se il cuore continua a vivere.

Il gioco impone compiacenti sorrisi; ma noi abbiamo visto
La luna in vicoli solitari fare
Di un bidone vuoto dei rifiuti un fulgido graal di risate,
E fra tutti i suoni della gaiezza e della ricerca
Abbiamo sentito un gattino nella desolazione.

Il serraglio del vino

Invariabilmente quando il vino rallegra la vista,
Restringendo le scansioni color senape degli occhi,
Un leopardo che sempre vaga sulla fronte
Affissa una visione nello sguardo assonnato.

Allora le brocche che riflettono la strada
Mi portano sulle pance a mezzaluna. Lento
Applauso scende in liquidi luccichii:
– Mi arruolo nello splendore delle loro ombre.

Contro una boiserie imitazione di onice
(Emulsione colorata di neve, uova, tessuto, carbone, letame)
Ammira il forcipe del sorriso che la prende.
Sudore percussivo le si sparge sui capelli.
Martelli,
I suoi occhi, disfano un istante del mondo…

Cos’è questo cumulo in cui curiosa il serpente —
La cui pelle, facsimile del tempo, srotola
Ottagoni, transetti di zaffiro intorno agli occhi;
– Dal quale il sussurro di un carillon assicura
Velocità alla freccia in cieli piumati?

Astuto inganno fa comparire una faccia sui vetri,
E come l’alcova della sua gelosia svanisce
Un monello uscito dalla neve
Spinge sgomitando una scatoletta oltre la riva
Mentre i prati d’agosto da qualche parte gli stringono la fronte.

Ogni camera o transetto conia un’obliqua
Linea senza rimorso, forma le loro distinte volontà —
Poveri corpi screziati che in alto e fuori
S’intrecciano a ghirlande,
Rendono inconsapevole lo stigma che ogni giro revoca:
Fra nere zanne risplendono le rose!

Nuove soglie, nuove anatomie! Gli artigli del vino
Mi innalzano la libertà tutt’intorno e distillano
Questo potere — viaggiare in una lacrima
Brillando io soltanto, entro la volontà di un altro.

Finché il mio sangue sogna un sorriso ricettivo
In cui nuove purezze siano catturate; dove sibila
Davanti alla vampa di scarnito riposo una conchiglia
Su cui batterono un tempo, forse, tutte le lingue dell’inferno
— Angosciata, così grida la mia anima:

“Ahimé, — questi gelidi flutti della tua potenza!
Trova nuovi dòmino di amore e fiele…
Purpureo, il dente implicito del mondo
Ti ha seguito. Sebbene alla fine tu conosca
E conti alcune oscure eredità di sabbia,
Quanto ancora subirai il tradimento della neve.

“Innalzati sulle date e le minuzie, e allontanati,
Salendo sugli stinchi di Oloferne —
Oltre il muro, galleggia la sua testa tagliata nei pressi di quella
Di Giovanni Battista. Il loro mormorio comincia.

“- E prendi ancora sulle spalle l’esilio;
La lettera d’amore di Petrushka rotea sul suo perno”.

*

Riposo dei fiumi

I salici soffiavano un suono lento, era
Una sarabanda la falce del vento sulla prateria.
Non potei mai ricordare
Quel ribollente, regolare acquattamento delle paludi
Fino a che l’età non mi portò al mare.

Steli, erbacce. E ricordi di ripide alcove
In cui i cipressi condividevano la tirannia
Del mezzogiorno; per poco non mi spingevano nell’Ade.
E tartarughe giganti che si arrampicavano su sogni sulfurei
Si arrendevano, mentre una sabbia assolata le ondulava
Ognuna dall’altra separata…

Avrei volentieri barattato la mia sorte! La nera gola
E tutti quei solitari nascondigli sulle colline
Dove i castori intrecciano rami coi denti.
Lo stagno in cui una volta entrai per subito uscirne —
Ricordo ora la sua corona di salici cantare.

E infine, in quella memoria tutto trova alimento;
Dopo la città che finalmente superai
Con unguenti brucianti effusi e frecce fumiganti
Il monsone s’abbatté tagliando il delta
Alle porte del golfo… Là, oltre le dighe

Sentii il vento, una lama di zaffiro, come quest’estate,
E i salici non potevano sostenere più un suono regolare.

*

Sulla tomba di Melville

Spesso di sotto all’onda, di là da questa scogliera
Egli vide i dadi d’ossa degli annegati lasciare
Un’ambasciata. I loro numeri offerti al suo sguardo,
Scagliati sulla spiaggia polverosa si oscuravano.

E passavano relitti senza rintocchi di campane,
Restituendo il gorgo in dono di morte
Un disseminato capitolo, un livido geroglifico,
Il presagio ravvolto in corridoi di conchiglie.

Allora nel calmo circuito di un’unica ampia spira,
L’incanto delle sue catene e la cattiveria rappacificata,
Occhi gelati c’erano che innalzavano altari;
E risposte silenziose s’insinuavano fra le stelle.

Bussola, quadrante e sestante tracciano
Nessuna più alta marea… Alto fra le cime azzurre
Il canto non sveglierà il marinaio.
Quest’ombra favolosa solo al mare appartiene.

*

Viaggi

Sulle fresche increspature dei frangenti
Luminosi ragazzini con magliette a righe
Si graffiano l’un l’altro con la sabbia.
Si disputano gusci di conchiglie,
E con le dita rompono pezzetti d’alghe aduste
Gioiosamente scavando e schizzando tutt’intorno.

E in risposta alle loro alte esclamazioni
Il sole picchia con la luce sulle onde,
Le onde ripiegano tuoni sulla sabbia;
E io se potessero ascoltarmi direi loro:

O splendidi ragazzi, correte qua e là col vostro cane,
Accarezzate le conchiglie e le vostre schegge,
Sbiancate dal tempo e dagli elementi; ma c’è una linea
Che non dovete incrociare né mai azzardarvi a superare
Muovendo l’agile cordame dei vostri corpi verso carezze
Troppo assidue-licheni cresciuti su un seno troppo grande.
Il fondo del mare è crudele.

II

– Eppure questo vivido lampo d’eternità,
Di marosi senza confini, liberi corridoi del vento,
In drappeggi di seta e in cortei dove
Il suo ampio ventre di Ondina si inarca verso la luna,
Ridendo delle coperte inflessioni del nostro amore;

Prendi questo Mare, il cui diapason batte
Su rotoli d’argento sentenze di neve,
Terrore con sigillo reale che in quelle sedute manda in pezzi
A seconda che il suo atteggiamento volga al buono o al peggio,
Tutto tranne la pietà delle mani degli amanti.

E in seguito, mentre le campane di San Salvador
Salutano i bagliori giallo croco delle stelle,
In queste distese di euforbia delle sue maree, —
Adagi di isole, o mia Prodiga,
Completano le fosche confessioni che le sue vene gridano.

Guarda come le spalle girandosi circondano le ore,
E affrettati finché le sue splendide scarne palme
Superano l’iscrizione sulla curvatura di schiuma e onda, —
Affrettati, finché sono cose vere, — il sonno, la morte, il desiderio,
Sono racchiusi all’istante in un fiore che galleggia.

Legateci al tempo, o chiare Stagioni, e incuteteci timore.
O galeoni cantori del fuoco dei Caraibi,
Non destinateci a nessun lido terreno fino a che
Non vi sia risposta nel vortice della nostra tomba
Al largo sguardo spumoso della foca verso il paradiso.

III

Una infinita consanguineità sostiene —
Il tema offerto di te che la luce
Riporta dalle piane del mare dove il cielo
Lascia un seno che ogni onda alza al trono;
Mentre le curve vie d’acqua che io batto
Si dilungano e si disperdono senza neanche un colpo
Lontano dalla parte in cui sei tu, verso la quale a quest’ora
Il mare, anche, innalza mani come reliquie.

E così, ammesso attraverso porte nere e turgide
Che devono fermare altrimenti ogni distanza, —
Di là da vortici di colonne e di ariosi timpani,
La luce che vi lotta incessantemente con la luce,
Stella baciando stella attraverso onda su onda fino
Al tuo corpo in vibrazione! e dove la morte, se si disparge
Non presuppone strage, ma questa singola trasformazione, —
Sul piano ripido scagliata alba dopo alba
L’accorta soave trasmutazione del canto;

Concedimi il viaggio, amore, nelle tue mani…

IV

Di chi il sorriso computato in ore e giorni, supponi
Che io sappia, come di banda iridata del mare e promessa
Di spartire ora in immensità golfo su golfo d’ali
I cui circoli, lo so, (dalle palme alla severa
Bianca immutabilità dell’albatro gelido)
Non si protendono su alcuna corrente d’amore
più grande che ora s’avanzi
Del far zampillare, cantando, unica questa mortalità
Immortalmente attraverso la creta fino a te.

Tutta insindacabile fragranza, e pretendere
Follemente logicamente un incontro in quest’ora
E regione che tocca ora a noi di nuovo reimbastire,
Predicendo occhi e labbra e cantando
Lo specchio del porto e porzione del nostro giugno —
Non nasceranno e si chiuderanno entro i nostri passi
Oggi splendide strofe di fiori e piume tali da
Poterle io dire solo se prima mi sarò perduto in fatali maree?

Quale sigillo della parola incarnata
Sulle spalle il porto sostiene mutuo sangue,
Da restituire mescolato, traspirando quasi vaticinato
E crescente meriggio nel tuo seno per accogliere
Tutte le splendide insinuazioni colte dai miei anni
Per isole dove inviolabilmente devono guidarci
Latitudini blu e i livelli dei tuoi occhi, —

In quest’attesa, gridalo ancora, di ricevere
Il remo e i petali segreti di tutto l’amore.

V

Meticolosi, dopo mezzanotte in limpida brina,
Infrangibili e solitari, regolari quasi fossero lanciati
Insieme in una bianca spietata lama —
Gli estuari della baia tracciano gli ardui confini del cielo.

– Quasi troppo fragili o troppo puri per poterli toccare!
I fili del nostro sonno così rapidamente tagliati,
Già pendono in spezzoni da rimembrate stelle.
Un sorriso di ghiaccio senza un’impronta…
Quali parole
Possono strozzare questo sordo chiaro di luna?
Noi
Siamo stati colti di sorpresa. Ora nessun grido, nessuna spada
Può accelerare o deflettere questo cuneo di marea,
Lenta tirannia del chiaro di luna, del chiaro di luna, amato
E cambiato… “Non c’è

Nulla di simile al mondo”, tu dici,
Sapendo che io non posso toccarti la mano e guardare
Anch’io, in quell’empia fessura di cielo
In cui nulla si muove tranne i baleni di sabbie morte.

“- E mai niente da capire!” No,
In tutto il galeone dei tuoi capelli luminosi niente ho mai sognato
Senza padroni come questa pirateria.

Ma ora
Ritira dentro la testa, qui sola e troppo in alto.
I tuoi occhi nella discendente deriva di schiuma;
Il tuo respiro che ha il sigillo dei fantasmi io non conosco:
Ritira dentro la testa e dormi nella tua lunga strada verso casa.

VI

Dove gelate e luminose prigioni sollevano
Gli occhi persi del mattino dei nuotatori,
E i fiumi dell’Oceano, ribollendo, muovono
Verdi confini sotto cieli sconosciuti,

Regolari come la conchiglia che secerne
Pulsanti leghe di monotonia,
O come acque innumerevoli attraverso
La chiglia rossa del sole oltre la pietra umida del capo;

O fiumi in mescolanza verso il cielo
E porto del seno della fenice —
I miei occhi neri fissi sulla prua,
– Il tuo ospite cieco e derelitto

Aspetta, intensamente, quel nome, impronunciato,
Che io non posso invocare: lascia che le tue onde si alzino
Più selvagge della morte dei re,
Una ghirlanda rotta per il veggente.

Oltre la sciroccata che raccoglieva
I tuoni del solstizio, s’avviò dolcemente,
Come un picco ondeggiante o una vela
Lanciata in un giorno di aprile inoltrato —

La parola gioiosa della creazione coronata di petali
Alla dea adagiata concedendo, quando si levò,
Un dialogo d’occhi
Che sorridono inattingibile quiete —

Sempre fervida alleanza, Belle Isle,
– Cattedra dispiegata fluttuante di fronte
Alla quale arcobaleni intrecciano chioma incessante —
Belle Isle, bianca eco del remo!

È lei, la Parola resa immagine, che tiene
Placidi salici ancorati alla sua luce.
È la risposta che non si può tradire
Il cui accento nessun addio può conoscere.

da Edifici bianchi –
Hart Crane

* le foto sono di Carlo Borlenghi