Wallace Stevens e Helen Frankenthaler

L’uomo pensoso… Vede librarsi quell’aquila
per cui le Alpi intricate sono un nido solo.

*

AL VENTO RUGGENTE

Quale sillaba vai cercando,
vocalissimus,
nelle distanze del sonno?
Dilla.

*

TREDICI MODI DI GUARDARE UN MERLO

I

Fra venti monti nevosi
la sola cosa in movimento
era l’occhio del merlo.

II

Ero di tre opinioni
come un albero
in cui stanno tre merli.

III

Il merlo vorticava bei venti di autunno.
Era una parte piccola della pantomima.

IV

Un uomo e una donna
sono uno.
Un uomo e una donna e un merlo
sono uno.

V

Non so cosa preferire,
la bellezza delle inflessioni
o la bellezzza delle allusioni,
il merlo che fischia
o subito dopo.

VI

Ghiaccioli riempivano la lunga finestra
di vetro barbarico.
L’ombra del merlo
l’attraversava, avanti e indietro.
Lo stato d’animo
rintracciava nell’ombra
una causa indecifrabile.

VII

O uomini magri di Haddam,
perché immaginate uccelli d’oro?
Non vedete che il merlo
cammina intorno ai piedi
delle donne che vi circondano?

VIII

So nobili accenti
e ritmi lucidi, inevitabili.
Ma so, anche,
che il merlo è coinvolto
in quel che so.

IX

Quando il merlo volò fuor di vista,
sognò il limite
di uno fra tanti cerchi.

X

Alla vista dei merli
che volano nella luce verde
perfino i ruffiani dell’euforia
lancerebbero un grido netto.

XI

Attraversò il Connecticut
in una carrozza di vetro.
Una volta, una paura lo trafisse, in quanto scambiò
l’ombra del suo equipaggio
per merli.

XII

Il fiume è in movimento.
Il merlo deve essere in volo.

XIII

Era sera tutto il pomeriggio.
Nevicava
e doveva nevicare.
Il merlo sedeva
nei rami di cedro.

*

Quando l’orecchia d’elefante nel parco
avvizzÌ nel gelo.
e le foglie sui sentieri
scapparono come ratti,
la luce della tua lamapda cadde
su guanciali luminosi,
su sfumature di mare e sfumature di cielo
come ombrelli a Giava.

da Armonium

*

COME VIVERE, COSA FARE

Ieri sera la luna si alzò su questa roccia,
impura sopra un mondo non purgato.
L’uomo e la sua compagna sostarono
a riposare dinanzi alla sua eroica altezza.

Freddo il vento cadde su di loro
in molte sovranità di suono:

avevano lasciato il sole striato di fiamma
per cercare un sole dal fuoco piu intenso.

Invece c’era questa roccia impennacchiata
che sorgeva massiccia, alta e nuda,
oltre tutti gli alberi, gettando i crinali
come braccia gigantesche fra le nubi.

Non c’era né voce né crestata immagine,
né corista né di prete. C’era solo
la grande altezza della roccia
e loro due fermi a riposare.

C’era il vento freddo e il suono del vento,
lontano dal fango della terra
che avevano lasciato, un suono eroico
gioioso e giubilante e certo.

*

IL SUBLIME AMERICANO

Come ci si sente
per contemplare il sublime
per affrontare gli schernitori,
gli schernitori meschini
e le coppie di nichelini?

Quando il generale Jackson
posò per la sua statua
sapeva come ci si sente.
Si deve andare a piedi nudi,
spaesati e sbigottiti?

Ma come ci si sente?
Ci si abitua al tempo,
al paesaggio e al resto;
e il sublime si riduce
allo spirito stesso,

spirito e spazio,
lo spirito vuoto,
nello spazio vacuo.
Che vino si beve?
Che pane si mangia?

*

MOZART, 1935

Poeta, siedi al pianoforte.
Suona il presente, il suo uh-uh-uh,
il suo sciò-sciò-sciò, il suo tric-trac-tric,
i suoi cachinni malevoli.

Se gettano pietre sul tetto
mentre fai esercizi di arpeggi,
è perché portano giù per le scale
un corpo avvolto di stracci.
Siedi al pianoforte.

Quel lucido ricordo del passato,
il divertimento:
quel sogno arioso del futuro,
il sereno concerto…
La neve cade.
Fa’ vibrare l’accordo penetrante.

Sii tu la voce,
non te. Sii tu, sii tu,
la voce della paura irata,
la voce di questo dolore assillante.

Sii tu il suono invernale
come del gran vento ululante,
con cui il dolore è liberato,
congedato, assolto
in uno stellato placare.

Possiamo ritornare a Mozart.
Lui era giovane, e noi, noi siamo vecchi.
La neve cade.
E le strade sono piene di grida.
Siedi, tu.

da Idee dell’ordine

*

LA POESIA E UNA FORZA DISTRUTTRICE

Ecco cos’è il dolore,
avere nessuna cosa in cuore.
È avere o nessuna cosa.

È avere una cosa, un leone,
un bue nel suo petto,
sentirlo respirare li.

Corazon, cane robusto,
bue giovane, orso a gambe storte:
lui gusta non sputo ma sangue.

È come un uomo
nel corpo di una bestia violenta.
Quei muscoli diventano suoi…

Il leone dorme nel sole,
col naso poggiato fra le zampe.
Può uccidere un uomo.

*

PRELUDIO AGLI OGGETTI

I

Se lui dopo la morte sarà il cielo,
se, mentre vive, sente se stesso
fatto suono nella musica, se il sole,
tempestoso, è il colore di un io,
certamente quanto la notte è il colore
di un io, se, senza sentimento,
lui è ciò che ode e vede e se,
senza pathos, lui sente cio che ode,
e vede, non essendo altrimenti nulla,
non avendo altrimenti nulla, lui non deve
andare al Louvre per contemplare se stesso.
Ammesso che ogni quadro è un riflesso,
che le pareti sono specchi moltiplicati,
che i marmi sono collage appiccicosi, gli scaloni
distese di una eleganza impossibile,
e le vedute notorie dalle finestre
spreco di cere, monarchie oltre ogni
nave Normandie, ammesso
che uno sta sempre vedendo e sentendo se stesso,
ciò non è un caso. Il succo è questo:
che l’io guerriero va schedato
e carcerato. I suoi mistici negri dovrebbero scambiare
cappelli a sonagli con parrucche. Accademie
come di una scienza tragica dovrebbero sorgere.

II

Poeta che carezzi altri nonnulla di schiuma
di mare, concepisci per i chiostri
di queste accademie la più divina salute
svelata in forme comuni. Dispiega
il nero bruto, l’immagine. Disegna
il tatto. Fissa la quiete. Prendi il posto
dei genitori, gli antenati piu lascivi.
Noi siamo concepiti nei tuoi concetti.

*

LE POESIE DEL NOSTRO CLIMA

I

Acqua trasparente in un vaso brillante,
garafani rosa e bianchi. La luce
nella stanza quasi un’aria nevosa,
riflette neve. Una neve appena caduta
a fine inverno quando tornano i pomeriggi.
Garofani rosa e bianchi… si desidera
tanto, tanto di più. Il giorno stesso
si semplifica: un vaso di bianco,
freddo, una porcellana fredda, bassa e tonda,
con nient’altro che i garofani dentro.

II

Mettiamo anche che questa semplicità completa
ci spogliasse di ogni nostro tormento, celasse
l’io vitale, malvagiamente assommato,
e lo rinnovasse in un mondo di bianco,
un mondo di acqua trasparente, dai contorni brillanti:
pure si vorrebbe, si avrebbe bisogno di più,
più di un mondo di bianca e nevosa fragranza.

III

Resterebbe pur sempre la mente inquieta,
così che si vorrebbe fuggire, tornare
a quello che era stato tanto a lungo composto.
L’imperfetto e il nostro paradiso.
Notare che in questa amarezza la gioia,
poiché l’imperfetto ci brucia tanto dentro,
sta in parole precarie e suoni ostinati.

*

SULLA VIA DI CASA

Fu quando dissi
” La verità non esiste ”
che i grappoli parvero più grossi.
La volpe corse fuori dalla tana.

Tu… Tu dicesti
” Vi sono molte verità,
ma non sono parti di una verità”.
Allora l’albero, di notte, cominciò a cambiare,
fumando nel verde e fumando blu.
Eravamo due figure in un bosco.
Dicemmo che ci sostenevamo da soli.

Fu quando dissi:
“Le parole non sono forme di una singola parola.
Nella somma delle parti, vi sono solo le parti.
Il mondo deve essere misurato ad occhio”;

fu quando dicesti:
“Gli idoli hanno visto molta povertà,
serpenti, oro e pidocchi,
ma non la verità”;

fu allora che il silenzio fu più largo
e più lungo, la notte più rotonda,
la fragranza dell’autunno più calda,
più vicina e più forte.

da Parti di un mondo

*

ABBECEDARIO DI BUONSOLDATO

I

Sono costretto dalla volontà di altri uomini

II

Un solo scopo esiste ma non è il mio

III

Devo impalare me stesso sulla realtà

IV

L’invisibile fato diviene visibile

V

Grida contro il comandante perché io obbedisca

VI

Nel tumulto dei cimboli resto fermo

VII

Sono egualmenti sfortunati nel contagio inerente al loro numero

VIII

La narrazione cessa… Addio alla narrazione.

IX

Grande come un giavellotto, egualmente futile, egualmente vecchio

X

Ma aveva qualche valore come persona?

*

DEL MERO ESSERE

La palma alla fine della mente,
oltre l’ultimo pensiero, sorge
nella scena bronzea,

un uccello dalle piume d’oro
canta nella palma, senza senso umano,
senza sentimento umano, un canto strano.

Sai allora che non è la ragione
a farci felici o infelici.
L’uccello canta. Le piume splendono.

La palma svetta al limite dello spazio.
Il vento muove piano nei rami.
Le piume infuocate dondolano giù.

da Opus postumum

* le raccolte sono contenute nel Meridiani dedicato a Tutte le poesie di Wallace Stevens

** tutti i dipinti sono di Helen Frankenthaler