Fredi Guthmann e Julio Cortázar

A Fredi Guthmann

La figura di Fredi Guthmann rappresentò per Cortázar un modello sia dal punto di vista letterario sia, soprattutto, spirituale. Personaggio eccentrico, eternamente in viaggio e in discussione, Guthmann ebbe sull’amico un’influenza profonda, testimoniata dal tono intimo che caratterizza la loro corrispondenza: una sorta di dialogo tra alunno e maestro. In queste lettere, Cortázar tenta di riprendere una conversazione interrotta anni prima, con la partenza di Guthmann per l’India.

3 gennaio 1951

Mon cher Fredi, era da molto che volevo scriverle, ma per un po’ ho aspettato una sua lettera in risposta alla mia da Parigi. Non mi è arrivata, e tuttavia ho saputo della sua lunga lettera a Susana, che in parte era diretta anche a me. Da allora sono già passati due mesi; e credo che ormai sia arrivato il momento di scriverle senza attendere oltre. Temo che non sarà già più all’indirizzo dove le spedirò questa lettera, ma presumo che, ovunque si trovi, gliela recapiteranno.

Non è semplice trovare le parole per dirle ciò che per me ha significato la sua lettera a Susana. Se c’è qualcosa di cui può star certo, è che l’ho letta con tutto il candore e la ricettività possibili; nella speranza che le sue righe avessero su di me l’effetto che aveva desiderato per tutti noi. Solo che, Fredi, sono molto lontano, non so tutto ciò che sa lei, e non merito ciò che merita lei. Non prenda queste parole come mere frasi di circostanza, non credo che tra di noi siano necessarie. La sua esperienza, quell’ammirevole esperienza che la sua lettera racconta come solo un poeta può fare, è l’esperienza di colui che ha pienamente goduto dei frutti della vita, che ha esaurito le tappe precedenti, quei percorsi che, alla fine, lo hanno condotto al suo sapere attuale. E cosa siamo in confronto noi che riceviamo la sua lettera, i destinatari della sua lettera? Non posso parlare né per Susana né per gli altri; solo per me, solo per questo mucchio d’ossa che ama la vita e le va incontro a suo modo, con la sua irrilevanza sudamericana, nella sua minima dimensione fatta di letteratura, arte, amore e tempo. Quindi, Fredi, la sua rivelazione mi giunge come la luce della luna; lei è la luna, che riceve direttamente la luce; e ciò che spetta a me è la sua lettera, sono le sue parole, la luce della luna che mi permette di leggere la sua lettera.
Mi ha dato un’enorme gioia. Per lei, perché la sento così sereno e in pace. La sua lettera trasmette un’impressione di serenità che solo i testi mistici più estremi riescono a dare, quelli in cui il linguaggio è come il suo, e quasi non è più linguaggio ma voce allo stato puro, trasmissione diretta dell’intenzione. Come suona letterario tutto questo, Fredi. Mi perdoni, questa retorica non fa che occultare ciò che in realtà mi piacerebbe poterle dire.
È passato molto tempo, e forse lei è impegnato in altro, sta vivendo un’altra vita, è ormai molto lontano da Julio Cortázar. Questa immensa geografia che ci separa ha un valore simbolico, sembra mostrare l’altra geografia, quella interiore, che ci tiene ugualmente a distanza. Ma siamo mai stati realmente vicini? Sì, per l’affetto e i gusti in comune; insieme nella stessa pagina di Pierre-Jean Jouve, nello stesso verso di César Vallejo. Ma avranno questi nomi un senso per chi oggi può forse prescindere da qualsiasi nome? L’affetto resta, con la speranza di un incontro futuro.

Mi è tanto mancato a Parigi, amico mio. Nelle mie lunghe passeggiate con Sergio, il suo nome era una presenza incessante nel nostro dialogo. Mi manca anche qui a Buenos Aires, ma in un modo o nell’altro mi rendo conto che lei non ha mai fatto parte di tutto questo, che è sempre stato di passaggio. L’Europa la esigeva in modo quasi ossessivo. Ricordo Firenze, una domenica pomeriggio in cui mi venne in mente di andare a sentire l’Offerta musicale diretta da Scherchen al Teatro Comunale. Quando risuonò il primo brano, quando nell’aria ci fu solo Bach, lei già era al mio fianco, ad ascoltare con me quella pura meraviglia. E la sera, sul Lungarno e il Ponte Vecchio, lei passeggiava con me, beveva il mio vino in una cantina di Borgo Santo Spirito, caratteristica quanto sporca, a duecento metri dagli affreschi di Masaccio.
Posso raccontarle poco di me, e in realtà finché non avrò ricevuto qualche riga da parte sua mi chiederò se questa lettera non sia per lei un disturbo più che altro. (Il passato dovrebbe starsene tranquillo, ma non vuole, si muove, cresce e torna; e anch’io ricevo lettere che non vorrei ricevere, lettere scritte da morti.) So che è sincero con me, e se le parole di quest’americano non hanno più senso per lei, me lo dica in due righe. L’affetto non ha nulla a che vedere con questo. Una volta qualcuno, allontanandosi definitivamente da me, mi ha lasciato come saluto questo verso di Rilke: Il faut laisser seuls ceux qu’on aime. È un buon consiglio; mi dica se devo seguirlo; l’amicizia rimarrà invariata, oltre le parole.


In ogni caso, le do qualche notizia. Suppongo che già sappia del fallimento del viaggio di Havas. Non ha resistito in Polinesia nemmeno due mesi, e a fine ottobre è tornato a Buenos Aires. Non mi sembra giusto formulare ipotesi sull’accaduto; lui mi ha detto che ha avuto un momento di debolezza, che sentiva il bisogno di tornare e stare vicino alla sua famiglia, e che questo è stato più forte degli inconvenienti materiali (che d’altra parte erano molti). Si immaginerà certo quanto la mia situazione fosse delicata e difficile. A trentasei anni, e per giunta a Buenos Aires, non è facile ricominciare a guadagnarsi da vivere così di colpo. Tuttavia, Havas si è affrettato a dirmi che contava su di me, e mi ha proposto immediatamente di costituire una società. Ho accettato, e ora lavoriamo insieme. Per me questa soluzione, sebbene priva dei vantaggi dell’accordo precedente quanto a stipendio, si traduce in meno lavoro e in una grande tranquillità. Posso dedicarmi alle mie cose per il tempo che mi serve, scrivo molto, leggo, e vivo in pace. Ho nostalgia dell’Europa, incessantemente; se potessi trasferirmi lì per sempre lo farei senza esitazioni. Ma, come può immaginare, un argentino non troverebbe facilmente di che campare in Francia, anche se fosse disposto a vivere con poco. (Ne sono comunque vagamente ossessionato; mi sento europeo d’elezione, ed è da codardi non portare questa scelta fino in fondo. Non voglio dire: forse, un giorno… perché è la forma di codardia più ripugnante. Un giorno me ne andrò, ecco tutto.)


Vuole notizie letterarie, Fredi? Davvero vuole notizie letterarie? I miei ultimi racconti sono in fase di correzione di bozze; li pubblica Sudamericana, e usciranno tra un paio di mesi. Durante l’inverno ho scritto un romanzo, El examen; non si potrà pubblicare per ragioni di contenuto, ma mi è servito per scrivere finalmente come piace a me, in piena libertà. Una volta le ho raccontato alcune idee che sarebbero poi finite in questo romanzo, come la scena della pulizia dei tram con tutti i passeggeri dentro. L’ho già finito, e mi piace abbastanza. E ora, per passare l’estate, ho riunito tutto il materiale che avevo raccolto nel corso degli anni su Keats, e ne sto facendo un libro. Non voglio che sia una cosa da scholar; lo scrivo con leggerezza, inserendovi ogni genere di divertissement e digressioni, con aneddoti marginali e analogie. Sarà un libro scandalosamente anti-universitario; per questo, spero, piacerà ai buoni lettori di Keats.

Havas ha avuto la gentilezza di farmi leggere una lettera che gli aveva mandato lei, e un’altra di Natacha. Ho saputo da quest’ultima i dettagli del suo soggiorno in India. Però è passato così tanto tempo da allora che mi chiedo se davvero è ancora lì che vi trovate. Fredi, Venezia era ciò che mi aveva annunciato lei in una lettera: la vecchia cortigiana che offre un mazzo di violette appassite. Un giorno, alla Giudecca, ai piedi della Calcina, mi sono ricordato all’improvviso che era da Venezia che vi siete imbarcati per l’Oriente. Per tutto il viaggio sono stato ossessionato dagli sguardi che, prima del mio, si erano posati su quei luoghi. Mi dicevo: «Questo Carpaccio–che pittore, Fredi!–l’hanno visto loro prima di partire». Oppure mi fermavo davanti a un vecchio palazzo e dicevo: Byron vide, forse toccò queste pietre. A Pisa, camminando lungo l’Arno, mi sembrava di vedere i capelli sciolti di Shelley, la sua risata acuta. E quando sono stato al cimitero acattolico di Roma, e mi sono fermato davanti alla tomba di Keats, ho pensato a tutti coloro che l’avevano fatto prima di me (immagino anche lei), e mi è sembrato che l’Europa fosse proprio questo: un luogo dove si incontrano, imprevedibilmente, gli sguardi degli individui che meritano di vivere.
Susana è partita per l’Europa due settimane fa. Jorge si prepara a fare altrettanto il 23; è contento, abbiamo letto insieme la sua lettera a Susana. Non so altro dei suoi amici, Cuadrado non lo vedo mai, Sergio non è ancora tornato. Ricordo il mio congedo da Sergio; dentro il Louvre, nella sala della scultura romanica. Non riuscivamo a smettere di guardarci intorno, di scambiarci strette di mano, per poi fermarci un’altra volta davanti a un’altra statua… Allora lui mi portò alle sale egizie, per mostrarmi l’immagine di una regina di cui si era innamorato. Se ne andò, e io continuai a guardare la statuina. Ora che glielo racconto, tutto ciò è improvvisamente più reale e presente di quest’ufficio di Havas e di questa stessa macchina da scrivere.

Ah, Fredi, chissà dove starà vivendo e pensando, non sa come mi sembra assurdo tutto ciò che le racconto. Non voglio commentare il senso e la portata della sua lettera; credo che la cosa meno importante fosse, diciamo, l’aspetto metafisico, soprattutto dialettico; il senso era di esperienza viva, di partecipazione. E credo, glielo ripeto, di non riuscire a percepire tale partecipazione se non di riflesso–e non basta. Forse arriverà il giorno in cui mi presenterò, con una folla, al cospetto dello sguardo di un illuminato; forse il mio percorso si concluderà in un incontro, in una oneness, come Keats vedeva l’atto poetico. Per ora sono un uomo che vive dei suoi impulsi più che delle sue idee e che crede nell’autenticità di una vita in contatto con tutte le sorgenti, con tutte le acque profonde. La sua lettera mi ha fatto un gran bene, mi ha mostrato che c’è sempre speranza. La luna, alla fin fine, mostra il percorso del sole. Vivo una specie di grande fremito, come un balzo senza ballerino.
Tutto il mio affetto a Natacha, con il desiderio di leggere presto due righe da parte sua. Havas si unisce con i suoi migliori auguri per entrambi. L’abbraccio forte, Fredi, e la ringrazio di nuovo del suo messaggio,

Julio.

dall’epistolario Carta Carbone di Cortázar

La gran respiración bailada –
Fredi Guthmann

*

Une furieuse envie de mourir

Une furieuse envie de mourir
Donna ces soldats précis comme une horloge
Mourir en soi de soi
Mourir aux hommes des hommes
Et à ce pàle violon à l’inguérissable archer

*

Venir à toi

Venir à toi comme à une fenêtre sur
Un jour gris
Te laisse venir comme un
Fruit trop mûr
De la solitude ou alors fruit de bigarade
Insensée arlequine comme
Des coups de sifflet dans
Un fruit dans
Un compotier de larmes suries ou alors

*

Nous jouons un jeu atroce

Nous jouons un jeu atroce sur la table au dernier matin
Si seul à la fin de la nuit je voudrais que les coqs
Vinissent à ma fenêtre
Qu’un seul coq du moins
Me regarde par la fenêtre idole ourdi
Avec un peu de commisération comme une vielle femme
Qui soulève sa tête
En coupant des fraises

*

Laissez-moi grimper

Laissez-moi grimper le long de vos larmes
O éternité suspendue
Je ne demande plus un monde plus une ombre
De monde
Ma tristesse ne tutoie plus le monde
Sournoisement sourdement
Ces indéracinables bannières regurgissant dans l’ombre du vaincu

*

J’ai toujours été plus violent

J’ai toujours été plus violent que la nature. Je toujours voulu
la forcer en soi m’en servir pour mon rêve
Le ciel n’est pas le ciel
Le ciel est toujours en moi cette chose suavage
Cette cause et cette conséquence
Sauvage
A réduire à obliger
A être plus ciel
Que le ciel

*

Petite fille intacte

Petite fille intacte ave ton os de neige
Tu n’as pas su le pluies noires comme un rame d’arum
Ni ces peuples qui se dévisagent quand l’orage joue a leur bagues
Ni les chevaux blancs fiancés à des lys sous de mauvais malheurs
La beauté est une connivence d’oriflamma e de mer à boire
Quand la pluie marche vers le yeux de la jeune fille
Le beauté est une accointance de quartier saigneux de
chevreuil et de lys étoilé
Quand la pluie marche vers les yeux de la femme

*

Quand deux mains

Quand deux mains d’orgueil
Serrent deux épaules d’humilitié
Il naît un cri
Un cri reconnu
Par deux épaules de toute compassion

Alor naît un cri
Qui s’élance tout orgueil
Empoignant deux épaules
Soumises à cause d’un cri
A tous les cris

*

Je viens d’un pays

Je viens d’un pays dont les yeux sont
toujours fermés
Au bord d’une mer qui se tient comme un animal
sur une jambe
perplexe
et qui guette
Et les paupières baissées
y perle une goutte d’androïde une
goutte d’oranger
Ah la lux des tigres
nous prenait le soir en coup de vent
et nous étions emportés dans un parfum de chair mouchetée

*

Peut-être une nuit

Peut-être une nuit plus pure
Comme tes yeux
Qu’un autre essuie
Une nuit plus pure
Dans l’egosillement des rossigols
Autour d’un nouvel essieu.

*

Paix

Paix je t’apporte un visage
Femmes Génie tambour tonneaux étains, brutes!
Là où la soie de vie
Est si tenue
Je commence à filer le Grand Désir
La veine le matériel volatil d’homme

*

Peuples

Peuples ce que vous aimez en moi c’est ma mort
Et ce n’est pas assez de me traquer par mon nom et ma circostance
Mais encore me forcez-vous au délire de vos drapeaux
Me trouvant alors assez ressemblant pour saigner le jour
de vos jours
Et le jour de vos femmes
Dont vous éventaillez vous-mêmes

*

Equinoxe noir

Equinoxe noir comme une bête mal bâtie
Dès que tu dis “comme” tu as admis le monde
Vive joie vif souvenir notre origine se perd dans la mémoires
des proverbes
Homme dissolu après que l’esprit eût fait sa fièvre puerpérale
Homme des bois ta peur est ta conscience
Ils ont levé la hache dès qu’elle fut de bronze
Contre le destin muet
Contre la bouche opinâtre
Boursoufflée de silence cloquée de lune
Entre la lierre sûr de leurs prévisions
La prime peur dans ses pas de gigue
Ce monde est plein d’occasions plein de trous de trucs
Et la Mort a la taille souple
Elle se rit dans l’ascenseur qui tombe
La Mort n’achète pas d’occasion elle jubile sur la face des putains
Il y a les prêtes dont la grâce grêle
Et la foi tuent
Moi je suis venu vers toi un jeudi douze
L’Amérique était fraîche alors à la soif de mon père
Il louait des fiacres il achetait un chapeau de panama
Il était seul dans la fraîcheur des affaires dans le mica
d’or du troc
Des indiennes en robes d’une pure saleté faisaient rire
Il gagnait l’argent pour me faire
Mois je suis né en face d’une louange de frigidaire
Les amériques intérieures poussaient en moi comme la rougeole
Le monde trinquait à ma santé sans reposer le verre
J’ai doublé quelques enfances balnéaires je me suis
réveillé un jour
Le monde virulent craquait en moi au fond j’étais pourtant
Melvenu je suis fait comme une plage
La vie me lèche elle m’est étrangère si insondablement
Plus intérieure que moi-même

Un canto italiano-
Julio Cortázar

A Fredi Guthmann

El presente come un cuarto de estucos y tapices, con muros
falsamente profundos para ojos que consentien.
La puerta, ahí, y también una ventana.
¿Cuál devuelve al pasado, cúal contiene el futuro?

Esta columna socavada sabe más,
pero no cede su lenguaje de ceniza
como si para abrirse paso de la moldura cruel
nos fueran necesarias otras manos que estas pobres
sostenedoras de manzanas y cuchillos.

¡Identidad, reunión! ¡Oh exilio hermoso!
Es dulce este divorcio que nos quema despacio
y luchar con el tiempo sigue siendo
la luz en cada hoguera, la gracia en cada paso.
Barca al mar, oh naranja colgando del azul,
brillo de peces contra lo profundo!
Veo en la ola un signo sin objeto, crece
como la muerte en cada fruta, estruendo
de aire en pedazos! Quémate, cigarra,
nada transcurre mientras cantes, mientras
el día suspendido de tus élitros
sea una baya dulce de guitarras.

Doy nombre a cosas claras: este trozo
de pensar es Italia. ¿Qué presente
menos manchado de pared, menos opaco?
Esponja meridiana, calabaza sonora,
y en el continuo de las ruras, entre laureles rosa y piedras
este poroso ser, este instante que dura.

Entonces, que el desgarro del amor desahuciado,
la sandalia quemada por el viento, la noche
con todas sus estrellas pesando en las espaldas,
sean reunión. El grillo asoma,
se quiebra un mimbre. ¿Y esto fue, será,
o solamente está ocurriendo? Mira,
bebe de cada fuente. En ti beben los muertos
y la sed del futuro. No te olvides
sin que un nuevo verano de gavillas
te dé el derecho de olvidar. Ni añores
los viejos años. Ellos duermen
en tu vigilia, y se despertarán come ese grillo
en la penumbra de tu sueño.
El aposento con estucos y tapices
cede al ser que lo habita, como cede la jaula
si su pájaro canta.

Roma, septiembre de 1953

——

* ph. Fiona Struengmann