“.. il grande anello nuziale tra origine e fine”

Vorrei sentire la tua mano fresca
sulla fronte che brucia. Così scende
sopra i roseti esausti la rugiada.
Così sboccia la luna nel buio.

Aiutami ad amarti, ad inventarti
nelle tue assenze. La mia fantasia
è comunque un tuo dono, un chiaro alibi
in questo mondo senza altrove.

[…] E mi porta il passato. È senza vita,
ma continua a specchiarsi, a specchiarsi.
Sono il bel viso di un film del Quaranta.
E mi guardo da qui.

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SONO QUI

Sono una bambina. Sto seduta sul davanzale circondata da giocattoli buttati sul pavimento, torri di cubi crollate, bambole con occhi sbarrati. La casa è in penombra, l’aria nelle stanze pian piano si raffredda e si fa sempre più buio. Qui non c’è più nessuno; sono usciti tutti, spariti, si sentono ancora le loro voci affievolirsi, lo strascichio dei loro piedi, l’eco dei passi e le risate in lontananza. Fuori dalla finestra i cortili sono vuoti. L’oscurità scende con dolcezza adagiandosi su tutto come rugiada nera.
La cosa peggiore è l’immobilità: densa e visibile nell’aria fredda del crepuscolo e nelle luci flebili delle lampade al sodio che, ad appena un metro di distanza, si insabbiano nel buio.
Non succede nulla, la marcia dell’oscurità si ferma davanti alla porta di casa, tutto il frastuono si placa e crea una pellicola spessa come quella sul latte che si raffredda. I contorni degli edifici sullo sfondo del cielo si estendono all’infinito, perdono lentamente gli angoli acuti, le sporgenze, gli spigoli. La luce che svanisce porta via l’aria, non ne rimane più da respirare. L’oscurità ora mi penetra nella pelle. Tutti i suoni si sono ritirati su se stessi, come gli occhi delle lumache; l’orchestra del mondo se n’è andata ed è svanita nel parco.
Quella sera ho scoperto per caso il limite del mondo, giocando, senza volerlo. E l’ho scoperto perché per un attimo mi hanno lasciato sola, incustodita. Naturalmente mi sono ritrovata in trappola, bloccata. Sono una bambina, sto seduta sul davanzale e guardo il cortile freddo. Le luci della mensa scolastica sono già spente, se ne sono andati tutti. Le lastre di cemento del cortile si sono impregnate di oscurità e sono scomparse. Le porte sono tutte chiuse, le serrande abbassate e le tende tirate. Vorrei uscire ma non saprei dove andare. Solo la mia presenza assume contorni netti che tremano e fluttuano, e mi fa male. In un attimo scopro la verità: non c’è più nulla da fare, io sono qui.

da I vagabondi
Olga Tokarczuk

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Guardàti di fronte, guardàti di profilo,
gli abeti hanno corna ricurve,
mimano angeli che spiccano il volo.
Bella giostra. M’invitano a salire.

Un viaggio senza meta in tutto il mondo:
resteremmo lì immobili, legati
a radici inflessibili. Ma il cielo
senza radici ruoterebbe per noi.

Transitano primavere in pieno inverno.
Il cuore della terra si riscalda.
Saltano gli orsi da una lastra all’altra,
il mare è traditore.

Ubi consistam? Noi, intrappolati
nel pianeta impazzito, con potenti
radar e telescopi supplichiamo,
smarriti, la voragine dei cieli.

E come marocchini o tunisini
sogniamo un’altra sponda.
Ardentemente
vogliamo sopravvivere.

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* tutte le poesie (compreso il frammento del titolo) sono tratte da
Pallottoliere celeste
Maria Luisa Spaziani

** le foto sono di
Frank Horvat

*** l’ultima è la foto della Tesla Roadster, guidata dal manichino Starman (in onore di David Bowie e la sua Space Oddity), lanciata nello spazio dal razzo Falcon Heavy della compagnia spaziale SpaceX e che ora è in orbita intorno al Sole per raggiungere un giorno Marte.

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[…] Chi non crede alle favole supreme
sosti in silenzio sotto una mimosa.
E non si sforzi di capire. Pensi
al mistero di un fiore.