“Un enigma è un puro scaturire” – Anne Carson

 
STELLA
 

Nel capitolo I abbiamo preso in considerazione due domande sull’economia verbale, vale a dire: cosa si perde esattamente quando le parole vengono sprecate e dove si trova l’umano deposito in cui tali beni sono raccolti? Vorrei tornare su queste domande, considerando l’ultima strofa di una lunga poesia di Paul Celan, l’iintitolata Engführung (Stretta).
Questa poesia si sofferma su ciò che è accaduto agli ebrei durante la guerra e l’effetto di quegli eventi sulla cultura europea del dopoguerra. L’effetto appare minimo, per come la vede Celan. Forse nullo. «Vi posammo sopra un silenzio», recita la poesia, descrivendo un muro semisepolto su cui si possono ancora vedere i fori dei proiettili nepunti esatti dove molte persone furono uccise. Poi arriva questa strofa:

«Also
stehen noch Tempel. Ein
Stern
hat wohl noch Licht.
Nichts,
nichts ist verloren».

«So
there are still temples. A
star
has probably still light.
Nothing,
nothing is lost».

«Dunque
esistono ancora templi. Una
stella
ha di certo ancora luce.
Nulla,
nulla è perduto».

La frase «nulla, nulla è perduto» sembra pronunciata con un tono di strana ironia. Certo non molti ebrei credono che, sebbene esistano ancora templi e stelle, nulla sia andato perduto. Ma la frase è anche un esempio di «genuina ambiguità». Perché il niente è, per definizione, uno spazio vuoto in cui non c’è esistenza, una nullità dell’essere, qualcosa che noi, in quanto esseri, non possiamo sperimentare e non potremmo mai comprendere. Eppure si può dire che l’universo dei campi di concentramento, per come lo descrive Celan nel resto di questa poesia, fosse un luogo in cui l’uomo sperimentava la nullità dell’essere. Un mondo in cui il niente si è palesato per essere conosciuto. Una lastra da acquaforte su cui un Sole nero è stampato in nero. E di questo mondo, per queste persone, sarebbe vero dire che «nulla è perduto» se l’essenza del niente è non esistere.
Quindi una risposta alla prima domanda – cosa si perde quando le parole vengono sprecate? – è semplicemente: «Nulla». Ma la perdita di niente non è banale. Come re Lear ha imparato da Cordelia, niente è una parola che misura lo spazio di ciò che è dato ed è possibile. Una volta che questo limite, che dovrebbe arginare l’essere oltre il proprio confine, è stato spostato al centro, sperimentato come un fatto ordinario e speso come discorso poetico, con le parole del Matto al suo re si può dire: «Ti sei rasato il cervello su entrambi i lati e non hai lasciato niente nel mezzo». Forse Simonide aveva in mente qualcosa del genere quando ci ha consigliato di «giocare nella vita e di non essere seri al cento percento in nulla». Forse Celan allude a questo quando, per nove volte in Engführung e in tutta la sua produzione successiva, si riferisce a ciò che non si può dire usando l’asterisco.
L’asterisco, quel segno perfettamente economico. Una stella in tutte le lingue. Un segno sulla pagina che raccoglie in se stesso il proprio suono e poi scompare. Un significato che rifiuta di sprecare una sola parola mentre si iscrive nel mondo. Il tempo è presente in questo rifiuto. Perché le stelle, come sapete, esistono nel proprio tempo. A seconda delle vostre coordinate, potreste guardare nel cielo notturno una stella che ha cessato di splendere millenni or sono. A seconda del vostro alfabeto, potreste guardare una parola in una poesia che è già finita. E tuttavia resta la domanda: dov’è l’umano deposito in cui si sedimenta tutto questo?
 

da Economia dell’imperduto
Anne Carson

 

 

E tuttavia resta la domanda: dov’è l’umano deposito in cui si sedimenta tutto questo?

 

 

 
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* in copertina
Be Calm
Louise Bourgeois
** Le foto sono tratte dal film
– Erbe fluttuati
Yasuhjiro Ozu
– L’ultima dal film The Three of Live
di Terrence Malick
*** la frase del titolo è tratta da una poesia di Hölderlin presente nel libro della Carson