“… solo tu e il sole/ sopra la terra” – Jesús Urzagasti

 
 

Consolazione
Non aver paura
sarai felice nella tua pelle
e la tua meraviglia non avrà fine.
Non temere di incrociare
i tuoi fantasmi
il mondo è dorato
e celeste di notte
una stagione propizia
per salire o scendere
per dire addio!
se rimani
e addio! se te ne vai.

 
 

*

Bellezza dell’alba

Passano gli anni e il mondo invecchia, ma il suo sguardo
viene dai confini della vita per lasciarmi da solo
con la sua chioma nera tra gli alberi notturni
e la pioggia calda.
Potrei chiamarla bellissima; eppure mi esce
solo l’affanno di un’infinita tristezza, perché non è
qui né fu mai al mio fianco, salvo che nella brezza
che disperde molti pensieri.
Un bolero per recuperare l’innocenza, una canzone
giovanile perché i ricordi mi rendano a un
mondo in cui gli esseri sono come volevano essere
e non come sono diventati.

 

Fox Spears

*

La mano della primavera

Compresi l’universo accecato dalla eternità
solo quando vidi gli alberi fermi come un dono nell’alba
mentre un animale sotterraneo consumato dalla nostalgia
mi tendeva la sua mano formata dalla primavera.
Ora il sangue riconosce nell’orizzonte illuminato
il cavallo immerso nel suo pianto
il simbolo ubbidiente
che l’abitante notturno cercava nella pietra stellare.
Come una leggenda si desta la dimora della terra.
Trionfano sulla realtà e scompaiono i fiori neri
affinché il sacro si inscriva nel mio petto
allontanando la melodia effimera della morte.
Furono gli alberi a raccomandarmi
di riscattare lo splendore del mondo
e dì rendergli l’unità col mio silenzio.

 

*

La mano dell’estate

Coloro che disperano devono regnare nelle tenebre
per incontrare la mano che urla nell’estate
e solca il mondo irredento. In quel gesto della notte
si nasconde il segreto della pienezza.
Caro amico soggiogato dal mistero della luce
e dalla precoce adolescenza dì una donna
sbucata dai litorali dell’alba
dal fondo dì quegli occhi privi dì eloquenza
ti loda lo spirito nato
per sedurre il drago della bellezza.
Questa solitudine è il primo inganno. Questo silenzio insegna
che il duraturo possiede sale e pianto provenienti dal sole nero.
Non è più la gioventù che passeggia tra alberi morti
è il destino che si è indurito nel tuo petto
come una fiera che alla fine trova pace ed emblema.
Taci davanti alla tua unica stella fissa. Che l’avvenire
sappia che nulla è cambiato nella vecchia dimora
né la sorpresa né la grazia
di rimanere aperti ai disastri.

 

 

*

L’Albero della tribù

La solitudine è questo
un fiume incessante
tra macigni e terre arate
un albero che spunta dalla stanza
e cerca l’ampio cielo.
Forse una piazza con colombi
che rompono l’architettura del passato
e installano il presente in quell’uomo
che ricorda una poesia
un modo di vedere e di rimuovere una sedia azzurra
mentre il fiume scivola rumoroso
e attraversa la città che abiti
come un albero che abbandona la stanza.
Sei altro tra il cielo e la notte
che non cessa di sbattere le ali
e tace all’alba.

 
 

Parabola terrestre
La voce dell’uomo riassume
il silenzio del suo passaggio natale
per questo sarà sempre
il guardiano dell’impossibile.

 
 

 
 

Roberto Mamani Mamani

 

*

Non ho mai posseduto abbastanza immaginazione da far sgorgare una sorgente di acqua azzurra nella radura del bosco dove il mio organismo riposa. Mi limito a guardare, senza grandi illusioni, l’innocente luccichio delle cose: pietra dagli infiniti colori, foglie d’alberi, l’orizzonte pervaso da una luce onnipotente e seduttrice. In tempi non troppo lontani, svariati accadimenti banali capitati nella mia vita mi hanno stordito al punto da trasformarmi in un intruso per questo mondo, che racchiude un incredibile armonia e non ha bisogno di nulla per conservarla, vi sia o meno il sottoscritto, portatore della parola disordinante.. Eppure io sono qui.

 

Juan Bustillos

*

Ricordo che quella sera non andrai da nessuna parte. E a un tratto, come se qualcuno lo decidesse in fretta, mi coricai. Il capanno, che mi appariva immenso, odorava di primavera e di piogge lontane, ma ignorava il corso dei miei pensieri. Prima di addormentarmi notai che, fuori, dei cavalli strappavano l’erba umida. Il lento fruscio che producevano spostandosi in qua e in là sotto le stelle fino a raggiungere la mia porta, lo avvertii più tardi, quando ricordai che nella casa da tempo non c’erano cavalli.

 

*

La pioggia è per me ciò che io sono per il mondo. Con ciò è detto tutto. Eppure adesso piove da qualche parte in un cortile, un viottolo, nel cimitero dove i morti hanno abbandonato le loro tombe per ripararsi sotto gli alberi. Piove per coloro che morirono una tiepida sera di primavera. Non piove per coloro che se ne andarono ascoltando il suono della propria morte, perché per loro è piovuto già nel mio cuore quando vuole cantare la trasparenza e l’azzurro delle montagne.

 

*

A furia di voler vedere una farfalla nelle ore meno appropriate, alla fine sono riuscito a immaginarne una. Così adesso la riconosco ogni volta che la immagino. Il che non è niente male. Ma non è neppure un bene, perché sono diventato cieco.

 

Juan Bustillos

 

Ai rapporti con la saggezza preferisco di gran lunga le conversazioni a tu per tu con il demonio. Le parole così restano libere da ogni offesa e quel che c’è di pure giovane è al sicuro. Per motivi che sfuggono alla mia comprensione, il demonio non ama parlare, o meglio, preferisce abitare il silenzio, una boccetta dove persino le sostanze fragili e volatili si conservano a lungo in buono stato. Anche il demonio, come capita a chiunque, è diverso da come stato dipinto e da come lui stesso si è immaginato. Di un simile stratagemma dell’Universo neppure lui si è liberato. Il demonio è come lo vedo io nelle sere in cui appaio turbato dalla mia stessa presenza nel mondo, quando dentro di me soffoco una risata che non viene né è per il mondo.

 

*

Sono uno specialista nel cancellare i miracoli. Ci sono momenti nei quali so tutto, con una chiarezza tale che aspetto soltanto la morte. Quegli istanti coincidono curiosamente con un ammutolimento totale, una mancanza di risorse che non è silenzio, ma ciò che dimora al di là di una decisione. Ė un difetto confidare nelle parole quando esistono sentimenti che non conosceranno mai prigionia alcuna. Anche questa è una contraddizione. Sono ciò che difetta al miracolo per far tremare il mondo.

 

Juan Bustillos

 

La poesia come talismano

L’immagine di cavalli galoppanti all’alba, fugace come un sogno, è un buon inizio. In fin dei conti, tutti abbiamo visto dei cavalli, anche se non necessariamente all’alba. Se irrompessero all’improvviso in una cristalleria, ci stupiremmo della capacità di dare loro vita in un scenario insolito ma non impossibile.
La poesia insegna a vivere, il che, beninteso, significa imparare a morire. È forse ciò che ci rende invulnerabili, dal momento che non illumina il cammino, ma i pericoli che lo impreziosiscono. Può essere un vento innocente arricchito da fragranze di tempi andati, e persino una pietra inconfondibile sulla collina. Formula rituale per approssimarsi alle origini, scrittura cifrata dell’avvenire, traccia elusiva di un presente effusivo. Comunque sia, segnale per le creature immaginarie che vagano insonni nella geografia di ciascuno.
Voglio ricordare qui ciò che venne a sapere a proposito dell’albero per bocca di uno stregone della pianura chaqueña. Gli domandai il come e il perché di tanta sapienza. Rispose servendosi della via che percorrono i poeti. Non sapeva cosa fosse una metafora, ma la praticava con discrezione, senza suscitare sospetti con il silenzio tipico degli iniziati. Era stato molte volte nella boscaglia a cercare quello che non si sa e in una di quelle occasioni era crollato addosso un enorme albero, che lo aveva tenuto stretto un giorno e una notte. Dissipò la mia angoscia eccessiva con parole che non dimenticherò.
– L’albero era una pianta dei lunghi capelli, ovvero una donna, che si alzò in piedi e scomparve nella boscaglia. Dall’ora sono lo stesso ma completamente diverso.
Arrivai in città portando con me la pietra trovata sulla collina, l’immagine dell’albero e il respiro di un cavallo, senza sapere che molto prima Felisberto Hermández aveva esplorato un territorio simile, che si trasforma quando la luna ne illumina gli alberi, ovvero quando un essere capace di parola lo trasfigura. […]
E la poesia? Alcuni sostengono che, come tutte le cose preziose, è inutile. Altre le attribuiscono il prestigio dell’alambicco, e così distillano parole logore, o le rinnovano, in un processo comunicativo che inghiotte colui che la notte vacilla e di giorno festeggia.
Ho conosciuto un tale che nulla sapeva di queste faccende, eppure viveva come se le conoscesse a memoria. A modo suo era un mago: amministrava il silenzio di cui le parole hanno bisogno per respirare a loro agio; anni dopo imparò a eludere la fretta delle definizioni che non compromettono e, quando si ritrovò sulle sponde di ciò che è fondamentale, preferì l’allusione.
Gli toccò un paese come un altro, ma lui lo rese unico. Un giorno uccise un uccello. Quando andò a raccoglierlo, il vento di un pomeriggio molto nuvoloso gli agitava già le piume. Un’altra volta si imbatté in un leone, che se lo mangiò. Uscì dal lucernaio invisibile dei leoni e vide che la selva e la città erano diverse ma ugualmente belle. Aveva scordato numerose parole, ma gliene restavano abbastanza per ricordare gli antenati e aspettare il futuro insieme ad altri uomini, selvatici come lui, alcuni con cravatta e cappello, apri leggermente nervosi, tutti con una storia commovente. Un giorno quel tipo cerco di mettermi il capestro. Non glielo permisi. Allora mi fece strada in una lunga fila di individui che attendevano il proprio turno sul rogo, senza alcun desiderio di mutare un destino che giudicavano esemplare. Toccai la pietra che portava in tasca e cercare di immaginare luoghi dove non ce n’è. Impresa impossibile. Abbondano ovunque quei residui di mondi fosforescenti, simili a reliquie di popolazioni oniriche, maneggiate da molte mani salvo quello del potente. Il tipo, prima di entrare nel fuoco, mi sorrise come un vecchio amico.
– Ora tocca a lei – mi lanciò con indefinibile soddisfazione. E poi mi avverti: – Da lì sì che nessuno esce vivo.
Lui non sapeva che stavo sognando, ma io sì, e mi svegliai con l’orologio fermo a mezzanotte.

 
da L’albero della tribù
Jesús Urzagasti