Giuliano Mesa e Biagio Cepollaro

 

(ákusma, “ciò che si ode”. Ascoltare, anteponendo alla soggettività di chi ascolta le parole che si offrono all’ascolto, la conoscenza ancora possibile alla conferma del sapere presunto. Ciò che si ode occorre ascoltarlo. Non basta sentire. ancor meno ascoltare sentendo soltanto le parole che possono confortare il risaputo).

 

*

l’onda che arriva sempre,
la sabbia non asciuga mai.
così dev’essere. ciottolo, alga.
mosche sul muco, verde,
di un altro cane morto.
coda che ha tra le gambe, stanca,
arsa dal sole, e il sale,
a fare l’ombra all’uovo di un crostaceo.
tutto come dev’essere, nell’ordine,
ogni volta che l’onda sparge l’acqua,
sempre, finché dall’alba il sole
batterà sui ciottoli, da farli caldi,
i calli, di un piede dopo l’altro,
la polpa prosciugata delle dita,
la sacca, la risacca, il vento,
il dove, il dove mai sarà.

 

*

lontana luce. schiuma, una bava di nube,
come ogni altra, ovunque.
voci che sbavano nonnulla,
con bel fragore, bella presenza degli spiriti.
come ogni altra, sempre.
vento anche oggi. che soffia e sbuffa.
la mano che trattiene la coperta,
un panno lenci, lercio, un nylon,
non ha motivo di esitare.
solleva, andandosene via,
come ogni altra volta.
sotto non c’è mistero,
non c’è che il misero detrito,
come sempre, di una poltiglia di neuroni,
con anche delle tracce di collirio,
di bistro, di bisturi sul collo.
finisce qui, sempre così,
battendo bene il tempo

 

*

chissà dove. arriverà del vento,
con una pioggia fitta, le folate,
anche, per fare prima, scrosci,
fole di meraviglia, come a vigilia,
a fare impacchi, bende, beveroni.
nessuna banda a fare chiasso, o sì,
anche, facendo prima, due tamburi,
due chiostre di denti che scongiurano,
quattro mani che fanno giochi d’ombra,
così, per divertire. chissà dove,
nitrire, frinire, facendo in fretta,
nutrire un’altra fine che si stanca.
fa, chissà dove, molto caldo,
fanno dei fuochi, altrove, per scaldarsi.
due o tre sospiri, forse, non di più.

 

*

tepori, gli uni agli altri,
vedette, sempre visitanti,
quiete non resta mai,
mano che non avvolge,
lacera, accartoccia,
torce la pelle, un livido,
e ne fa stemma, stigma,
un accadere muto, trafelato,
un rapido interrompere.
vuoi che si assordi, che rimanga?

 

*

blatera, bei suoni, ancora.
i suoni che si ammucchiano,
e non trasformano,
non ciò che sarebbe,
bello, che non c’è,
che poi, se ci sarà,
sarà  come un dolore,
quello che poi verrà,
simile, siamo soltanto questo,
simili, nostri simili

 

*

andrà a finire. e se non ora,
o quando, sarà come se fosse,
dentro un pensiero, trito,
che si sgranocchia la sua noce.
l’improvviso schiarirsi,
o lo snodarsi, o altro che già c’è.
finirà che se ne andranno tutti,
i giunchi sferzati dalla bora,
le folaghe smarrite, i rantoli,
quelli dei ratti che fanno tana tra i rottami,
sgranocchiano croccanti cartilagini.
andrà a finire anche così,
o anche chissà come,
anche come se fosse chissà che

 

*

(ritrovata…)

chiudimi il cerchio, occhiuta,
prendimi il vuoto, l’incavo,
e nulla rimarrà.
prendi lo sguardo estremo,
il tuo, che non vedrò,
che non ho visto mai
 

da Chissà
Giuliano Mesa

 

 

Icona n.94 (2020) I Guardiani – Biagio Cepollaro

 

da Tiresia di Giuliano Mesa

 

 

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* in copertina Narrazione N.50 (2020) I guardiani
Biagio Cepollaro

** Ákusma è un progetto letterario di Mesa; leggasi qui, sul suo blog, per una lettura più approfondita.

 
 

Narrazione N.40, I Guardiani – Biagio Cepollaro