Dylan Thomas e Emilio Scanavino

 

Verde e morente mi trattenne il tempo
Benché come il mare cantassi nelle mie catene.

 

Senza titolo – Emilio Scanavino

 

In principio
 

In principio la stella a tre punte,
Un sorriso di luce per il volto vuoto;
Un ramo d’osso per l’aria che si radica,
La biforcata sostanza che irrigidì il primo sole;
E come cifre roventi sul cerchio dello spazio
Cielo e inferno che ruotano frammisti.

In principio era la firma pallida,
Trisillabata e stellare come il sorriso;
E poi vennero l’orme sull’acqua,
Stampo del volto coniato sulla luna;
Il sangue che toccò la croce e il graal
Toccò la prima nuvola e vi impresse un segno.

In principio era il fuoco ascendente
Che accese le stagioni a una scintilla, scintilla
Con tre occhi, occhi rossi, smussata come un fiore;
Dai mari vorticanti sorse e sgorgò la vita,
Scoppiò nelle radici, pompò da terra e roccia
Gli oli segreti che guidano l’erba.

In principio era il verbo, la parola
Che dalle solide basi della luce
Astrasse tutte le lettere del vuoto;
E dalle annuvolate basi del respiro
Fluendo salì la parola, traducendo al cuore
Primi caratteri di nascita e di morte.
In principio era il cervello segreto.
Il cervello racchiuso e saldato nel pensiero
Avanti che la pece si biforcasse a un sole;
Avanti che le vene fossero scosse nel loro setaccio
Il sangue scaricò e disperse ai venti della luce
Il costoluto originale dell’amore.

 

*

 

Nelle piccole torri orecchi odono
 

Nelle piccole torri orecchi odono
Le mani raspare alla porta,
Occhi negli abbaini vedono
Le dita sulle serrature.
Dovrò aprire, o dovrò rimanere
Da solo fino al giorno della morte
Non visto da occhi stranieri
In questa casa bianca?
Mani, portate grappoli o veleno?

Al di là di quest’isola recinta
Da un mare sottile di carne
E da una costa d’osso,
La terra si stende lontana dal suono,
Le colline lontane dalla mente.
Né uccello né pesce volante
Disturbano il riposo di quest’isola.

Orecchi in quest’isola odono
Il vento che trascorre come un fuoco,
Occhi in quest’isola vedono
Le navi all’ancora fuori dalla baia.
Dovrò correre alle navi
Col vento nei capelli, o rimanere
Fino al giorno della morte, senza dare
Il benvenuto a nessun marinaio?
Navi, portate grappoli o veleno?

Le mani raspano alla porta, le navi
Gettano l’àncora fuori dalla baia,
La pioggia batte la sabbia e le ardesie.
Lascerò entrare lo straniero,
Darò il mio benvenuto al marinaio,
O resterò fino al giorno della morte?

Mani dello straniero e stive delle navi,
Cosa portate, grappoli o veleno?

 

*

 

Vi fu un tempo
 

Vi fu un tempo che i danzatori coi loro violini
In circhi da bambini potevano arrestare i loro guai?
Vi fu un tempo che potevano piangere sui libri,
Ma il tempo ha posto il suo verme sul loro sentiero.
Sotto l’arco del cielo non sono più al sicuro.
In questa vita, ciò che non è conosciuto è più al sicuro.
Sotto i segni del cielo chi non ha braccia
Ha mani più pulite, e dato che lo spettro senza cuore
È l’unico a non essere ferito, il cieco vede meglio.

 

*

 

La mano che firmò il trattato
 

La mano che firmò il trattato fece crollare una città;
Cinque dita sovrane posero un’ipoteca sul respiro,
Raddoppiarono il globo dei morti e dimezzarono un paese;
Quei cinque re un re misero a morte.

La mano possente conduce a una spalla ricurva,
Il gesso contrae le giunture delle dita;
Una penna d’oca ha posto fine al delitto
Che pose fine ad ogni negoziato.

La mano che firmò il trattato produsse una febbre,
La carestia avanzò, e le locuste giunsero; è grande La mano che tiene in suo dominio l’uomo
Grazie a un nome scribacchiato.

I cinque re contano i morti, ma non possono curare La ferita incrostata, né spianare la fronte; una mano
Amministra pietà come una mano amministra anche il cielo;
Le mani non hanno lacrime da spargere.

 

*

 

Una rinuncia a piangere la morte, per fuoco, di una bimba a Londra

Mai finché il buio che genera uomo
Uccello bestia e fiore
Buio paterno che ogni cosa umilia
L’ultima luce frangente racconti col silenzio
E l’immobile ora
Giunga dal mare che nelle briglie s’agita

E io debba rientrare nella sferica
Sion della perla d’acqua
E nella sinagoga della spiga di grano
Mai lascerò pregare l’ombra di un suono
O seminare il mio seme di sale
Nella più piccola valle di saio per piangere
La maestà e le fiamme della morte della bimba.
Io non assassinerò
L’umanità della sua dipartita con una grave verità
Né abbatterò bestemmiando le stazioni del respiro
Con un’altra
Elegia d’innocenza e giovinezza.

Profonda con i primi morti giace la figlia di Londra
Ravvolta nei suoi lunghi amici,
I grani senza età, le oscure vene di sua madre,
Segreta presso la non lamentevole acqua
Del cavalcante Tamigi.
Dopo la prima morte non ne esiste altra.

 

*

 

Quando i miei cinque sensi campagnoli vedranno
 

Quando i miei cinque sensi campagnoli vedranno,
Le dita dimenticheranno i verdi pollici e indicheranno
Come attraverso l’occhio vegetale della mezzaluna,
Pula di giovani stelle e manciata di zodiaco,
L’amore sia scorticato nel gelo, stivato per l’inverno;
I mormoranti orecchi lo scorgeranno, amore che procede
Tambureggiando per brezza e conchiglia verso una spiaggia discorde,
E allacciata alle sillabe la lingua di lince urlerà
Che le sue amate ferite amaramente sono rammendate.
Le mie narici vedranno il suo respiro bruciare come un rovo.
Il mio unico e nobile cuore ha testimoni
In tutti i luoghi d’amore, che andranno svegli a tentoni;
E quando il cieco sonno cadrà sui sensi che spiano,
Il cuore sarà sensuale, anche se cinque occhi si spaccano.

 

*

 

 

*

Poesia sul suo compleanno
 

Nel sole come seme di mostarda,
Presso un impetuoso fiume e un mare che lo investe
Dove veloci volano i cormorani,
Nella sua casa su alti sostegni fra i becchi
E i vacui battibecchi degli uccelli
In questo giorno granello di sabbia nella ricurva tomba della baia
Egli celebra e sdegna
Relitti alla deriva i suoi trentacinque anni sospinti dal vento; E gli aironi volteggiano e trafiggono.

Sotto ed attorno a lui vanno gabbiani
E passere di mare in sentieri glaciali senza mèta
Facendo ciò che ad essi è comandato,
E chiurli a voce alta nell’onde pescose
S’affannano al loro lavoro di morte,
E nella lunga stanza linguacciuta il creatore di rime
Fa rintoccare la campana del suo compleanno
E si dirige a fatica all’imboscata delle sue ferite;
Gli aironi stelo di guglia benedicono.

In polverìo di polline di cardi
Canta avviato all’angoscia; fringuelli volano
Nei sentieri ad artiglio dei falchi
Su un cielo che cattura; minuscoli pesci
Per vicoli e conchiglie scivolano in città
Di navi naufragate a divenire pascolo di lontre.
Nella sua casa sghimbescia e traballante
Nelle spire scheggiate del suo commercio scorge
Gli aironi passeggiare nel loro sudario,

L’interminabile veste di piccoli pesci
Del fiume che s’intreccia alla loro preghiera;
E lontano sul mare egli che si affatica
Per giungere a una fine eterna ed accucciata
Sotto una nuvola a forma di serpente,
Sa che i delfini si tuffano dentro la loro schiuma a capriola,
E foche gocciolanti si scagliano fulminee
A uccidere, e il sangue che imbratta le onde
Scivola buono nella bocca liscia.

In un cavernoso silenzio travolto dall’onda
Rintocca a morte il pianto di un angelus bianco.
Trentacinque campane cantando percuotono
Il cranio e la ferita dove gli amori hanno fatto naufragio
Guidati da stelle cadenti.
E il domani dolora in una gabbia cieca
Che il terrore con furia infrangerà
Prima che le catene si spezzino a fiamme a martello
E l’amore spalanchi la tenebra

Ed egli vada, liberamente perduto
Nella famosa e ignota luce del grande
E favoloso ed adorato Dio.
La tenebra è una via e la luce è un luogo,
Cielo che non fu mai
Né mai sarà e resta sempre vero,
E in quel vuoto ricolmo di rovi,
Pullulanti nei boschi come more,
I morti crescono per la Sua gioia.

Là poteva vagare denudato
Con gli spiriti della baia a ferro di cavallo
O con i morti della spiaggia astrale,
Midollo d’aquile, radici di balene
E sterni d’anatre selvatiche, con
Il Dio benedetto e non nato, e col suo Spirito Santo,
Ed ogni anima suo sacerdote,
Ingannato e cantore nel giovane ovile del Cielo
Essere nella pace tremante come nuvola,

Ma è una via lunga la tenebra.
Sulla terra della notte, solo
Con tutti i vivi prega, egli che sa
Come i venti scattanti soffieranno
Le ossa fuori dai colli,
E i ciottoli falciati sanguineranno, e le ultime
Acque sconvolte di rabbia calceranno
Gli alberi delle navi e i pesci fino alle stelle
Veloci ancora, senza fede in Lui

Che è luce dell’antico
Aereo Paradiso in cui l’anime crescono selvagge
Come cavalli nella schiuma:
Oh lasciate ch’io pianga a metà della vita presso i voti
Degli aironi druidi tenuti a reliquia
Il viaggio che devo percorrere verso la mia rovina,
Navi dell’alba arenate con violenza,
E sebbene con lingua confusa io pianga, lasciate
Che ad alta voce enumeri tutte le mie fortune:

Quattro elementi e cinque sensi
E uomo spirito colmo d’amore che s’apre
Un varco in questa melma vorticosa
Verso la curva aureola del fresco regno avvenire
E le perdute cupole del chiaro di luna,
E il mare che nasconde le sue segrete essenze
Profondamente nell’ossa nere e abissali,
Ninna-nanna di sfere in carne di conchiglia,
E quest’ultimo dono, che tanto

Più mi avvicino alla morte,
Uomo solo attraverso le sue chiglie spaccate,
Tanto più forte fiorisce il sole
E il mare esulta, zannuto e rovinoso;
E ogni ondata del percorso, ed ogni
Maestrale domato, ecco che il mondo intero
Con fede più trionfante
Di quanto sia accaduto da quando il mondo fu detto
Intesse il suo mattino di lode, e io

Odo le rimbalzanti colline
Farsi più fitte d’allodole e più verdi nell’autunno
Bruno come la bacca, e le allodole
Della rugiada cantare più alto in questa primavera tonante,
E come più dominate dagli angeli cavalcano
L’isole ardenti con anima d’uomo!
Oh, Più sacri sono allora i loro occhi,
E i miei splendenti uomini non sono più soli
Mentre io salpo verso la morte.
 

da Poesie –
Dylan Thomas

 

 

 

La Celebrazione del Cerchio – Emilio Scanavino

~~~~~~~
* in copertina “Tramature” –
Emilio Scanavino
** nella foto un estratto dalla poesia Visione e preghiera