Soffrire di ideali: Leonce e Lena – Georg Büchner

 

«Ho studiato la storia della Rivoluzione. Mi sono sentito come annientato sotto il mostruoso fatalismo della storia. Trovo nella natura umana una spaventosa uguaglianza, nei rapporti umani un’ineluttabile violenza, concessa a tutti ed a nessuno. Il singolo è solo schiuma sulle onde, la grandezza è un puro caso, la sovranità del genio una commedia di burattini , un ridicolo lottare contro una legge ferrea».

 

Leonce e Lena

 

 

                                                                              ATTO PRIMO

 

Oh, fossi un buffone!
Quel che voglio è una giacca colorata.
Shakespeare, Come vi piace

 

                                                                              Scena prima

 

                                                                              Un giardino

 

Leonce semisdraiato su una panca, il precettore.

Leonce. Cosa vuole da me, signor mio? Prepararmi al mio compito? Ma io ho da fare fin sopra i capelli, non so da che parte voltarmi dal lavoro che ho. Guardi un po’: anzitutto ho da sputare trecentosessantacinque volte, una dopo l’altra, qui, su questa pietra. Non ci ha mai provato Lei? Lo faccia, ci si prova un gusto tutto speciale. Poi… vede questa manciata di sabbia? (Raccoglie della sabbia, la getta in aria e la riprende sul dorso della mano). la butto per aria. Vogliamo scommettere? Quanti granellini avrò adesso sul dorso della mano? Pari o dispari? Come! non vuole scommettere? È forse un pagano lei? o crede in Dio? Di solito io scommetto con me stesso e riesco a tirare avanti per dei giorni in questo modo. Se riesce a scovare qualcuno che abbia voglia di scommettere con me qualche volta, le sarei proprio obbligato. E poi… poi… ho da meditare come sarebbe se potessi vedermi a gambe per aria. Oh, potersi vedere una volta a testa in giù! È uno dei miei ideali.Mi farebbe proprio bene… E poi… poi… e poi, così all’infinito. Già sono un fannullone? Non ho alcun occupazione? Sì, è triste…
Precettore. Molto triste, Vostra Altezza.
Leonce. Che le nuvole corrano già da tre giorni da ovest a est mi fanno diventare melanconico.
Precettore. Una melanconia veramente fondata.
Leonce. Ma insomma, perché non mi contraddice? Ha affari urgenti da sbrigare, vero? Mi rincresce di averla trattenuta tanto (il precettore si allontana con un profondo inchino) Mi congratulo con lei, signore, per la bella parentesi che fanno le sue gambe quando si inchina
Leonce. (solo; si distende sulla panca). Le api sostano così pigre sui fiori, e così pigra si distende al suolo la luce del sole. Dilaga un ozio orribile. L’ozio è il padre di vizi. Cosa non fa la gente dalla noia! Studiano dalla noia, pregano dalla noia, si fidanzano, si sposano, si moltiplicano dalla noia, infine dalla noia muoiono. E il ridicolo è che fanno tutto con le facce più serie di questo mondo, senza chiedersi perché, e suppongono che Dio ne sappia qualcosa. Tutti questi eroi, questi geni e questi sciocchi, santi e peccatori, questi padri di famiglia in fondo non sono altro che dei raffinati fannulloni. Ma questo, perché devo saperlo proprio io? Perché non posso sentirmi anch’io tanto importante e vestire il povero pupazzo di una bella marsina e mettergli in mano un ombrello, che diventi molto retto, molto utile, molto morale? Quel tipo che se n’è andato poco fa, io lo invidio, avrei voluto bastonarlo dall’invidia! Oh, poter essere un altro, almeno per una volta! Solo per un minuto.

Entra Valerio un po’ ubriaco

Leonce. Come corre quell’uomo! Se solo conoscessi qualcosa che a questo mondo potesse farmi correre!
Valerio (si piazza davanti al principe, punta il dito al naso e lo guarda fisso). Già!
Leonce (facendo altrettanto). Giusto!
Valerio. M’ha compreso?
Leonce. Perfettamente.
Valerio. Allora possiamo parlare di qualcos’altro. (Si sdraia sull’erba) Intanto mi sdraierò qui nell’erba e farò spuntare il naso fra gli steli, come un fiore; proverò certe sensazioni romantiche quando le api e le farfalle gli si poseranno sopra, come su una rosa.
Leonce. Ma, egregio, non sbuffi a quel modo, altrimenti api e farfalle moriranno di fame per le prese enormi che lei aspira dei fiori.
Valerio. Ah, signore, che sentimento che per per la natura ci ho io! Sta su così bella dritta l’erba, che vorrei essere un bue per potermela mangiare e poi essere di nuovo un uomo per mangiarmi il bue che l’ha mangiata.
Leonce. Infelice! Mi dà l’aria che anche lei soffra di ideali!
Valerio. Eh sì! c’è da disperarsi. Non si può saltare giù da un campanile senza rompersi il collo! Non si può mangiare quattro libbre di ciliegie con nòcciolo senza prendersi un mal di pancia! Vede, signore, io mi sederei qui in un angolo a cantare dalla mattina alla sera: “Sul muro c’è una mosca! sul muro, sul muro! Sul muro c’è una mosca! sul muro, sul muro!” e così fino alla fine dei miei giorni.
Leonce. Per carità, piantala con quella canzone c’è da diventarne matti!
Valerio. Almeno si diventerebbe qualcosa. Un matto! Chi vuole cedermi la sua pazzia in cambio della mia ragione? Già, già! Sono Alessandro magno! Così il sole mi sembra una corona d’oro che mi brilla tra i capelli, e come risplende la mia uniforme! Signor generalissimo Cretinetti, fate avanzare le truppe! Signor ministro delle finanze Pancetta, ho bisogno di soldi! Mia cara dama di corte Libellula, cosa fa di bello la mia gentile consorte Pertica? Oh, ottimo medico di corte dottor Cantaride, mi manca un principe ereditario. E con queste graziose fantasie uno riceve una buona minestra, buona carne, buon pane, un buon letto e i capelli tagliati alla perfezione – al manicomio, si intende – mentre io, con la mia sana 5ragione, tutt’al più potrei ancora impiegarmi sul ciliegio per l’incremento della maturazione e per… già, perché cosa?
Leonce. Per fare arrossire di vergogna le ciliegie con i buchi che hai nei pantaloni! Ma, nobile amico, dimmi un po’, qual è il tuo mestiere, la tua occupazione, la tua professione, il tuo stato, la tua arte?
Valerio (con dignità). Signore, la mia grande occupazione è di starmene in ozio; ho un’abilità eccezionale nel non nel non far niente, io; una perseveranza eccezionale nella pigrizia. Non un callo profana le mie mani, non una goccia della mia fronte ha ancora bevuto la terra, sono ancora vergine al lavoro; e se non mi costasse troppo fatica, mi darai la pena di discutere con lei diffusamente su questi meriti.
Leonce (con comico entusiasmo). Vieni qui, sul mio petto! Sei tu dunque uno di quegli esseri divini che, con fronte pura , vagano infaticati, tra polvere e sudore, sulla strada maestra della vita? e con lucide suole e corpi freschi e fiorenti, simili ai dèi beati, entrano nell’Olimpo? Vieni dunque, vieni!
Valerio (allontanandosi canta) Sul muro c’è una mosca! sul muro, sul muro! Sul muro c’è una mosca! sul muro, sul muro. (Escono ambedue a braccetto). […]
 

da Leonce e Lena
Teatro –
Georg Büchner

 

 

 

Büchner, sappiate che la grandezza è un caso.