ecco la prima notte del romanzo. Non è ancora nulla di quanto vorrei: è solo un frammento. Senti se le frasi suonano bene all’orecchio, se salgono e scendono nel modo giusto e si intonano al tuo udito. L’ultima volta che ci siamo visti a Drohobycz, mi hai fatto una domanda a cui non ho voluto rispondere. La domanda era semplice: cosa significa il mondo per me. Ora posso risponderti. Il mondo è un’apparizione e la scrittura ne insegue le forme. Ma non come un cacciatore la preda, piuttosto come un sognatore cerca le parole giuste per raccontare quello che ha visto durante la notte. Le visioni hanno solo bisogno di un trascrittore attento.
Non essere indulgente, come troppo spesso sei stata. Quello che leggerai potrebbe essere il primo capitolo, ma non è detto che lo diventi. È quasi impossibile reggere la tensione di quello che vorrei dire per più di qualche pagina, eppure bisogna resistere. Solo così riesco a restituire l’espressione che desidero – la ferrea vigilanza della sintassi sull’affannato, incontrollabile spavento del sogno.
La penna mi guida, si direbbe. Ma dove? Devo stare attento: se mi lasciassi andare, vedrei solo macchie d’inchiostro, e la storia sarebbe fumo nel fumo! Odio chi mi chiede cosa voglio esprimere! Il mondo è inesprimibile e solo per una straordinaria fortuna, per un incantesimo capriccioso del tempo, possiamo captare un fruscìo nell’aria e tradurlo in parole.
Ho già sognato diversi pezzi del romanzo, ma è tutto un arcipelago nebbioso, una babele di frasi e di trame dove mi confondo. Per ora vedo solo un ragazzo che scrive e disegna nel buio… Ma è troppo presto per parlare. Quando avrai letto più di un frammento, allora sarà diverso. Dialogheremo, discuteremo. Il romanzo, Romana, nasce dai miei silenzi, da tutti quei silenzi che dicevi di amare quando mi bisbigliavi: «Non ti sei mai accordato col mondo, Bruno…».
È forse possibile accordarsi? A chi succede? A me non è mai accaduto. Invidio gli accordati col mondo. Ma talvolta mi sembrano solo dei morti con una vita già stabilita, nell’inizio come nella fine: gli esseri viventi, quando sono prevedibili, hanno, per me, la stessa natura dei morti. Io non faccio altro che lavorare contro questa natura. Credo di essere così stanco da non appartenere più a me stesso. È il romanzo a cercarmi. Di notte mi si avvicinano le parole, le frasi, i capitoli, così, di soppiatto, come ladri che frugano nella casa notturna, come assassini che cercano la vittima predestinata: la carta si mette a frusciare, sente le parole imminenti, avverte la fine del silenzio. Che fare se non obbedire come un soldato, aprire il quaderno che mi attrae dal fondo dell’abisso e farmi conchiglia al suono del mare?
Adesso ti lascio: devo correggere trentasei compiti, domani la mia classe ha esame di disegno con me; ma io non so che fare, disegno animali sul margine dei loro fogli, soprattutto civette, gli occhi fissi nel buio. Scrivo con ansia, sballottato dalle frasi, ubriaco. Ora smetto: così avrai tempo di leggermi…
Tuo Bruno Schulz





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La via dei coccodrilli –
Bruno Schulz
Su quella pianta, disegnata nello stile delle vedute barocche, il quartiere della Via dei Coccodrilli spiccava come un vuoto bianco, lo stesso con cui nelle carte geografiche si suole indicare le regioni polari, i paesi inesplorati o di incerta esistenza. … Sull’intero quartiere si stende un pigro e licenzioso fluido di peccato, e le case, i negozi, la gente talvolta sembrano soltanto un fremito sul suo corpo febbricitante, una pelle d’oca sopra i suoi sogni febbrili. Da nessun altro luogo come qui ci sentiamo minacciati dalle possibilità, sconvolti dall’approssimarsi dell’adempimento, resi pavidi e inerti dal voluttuoso sbigottimento dell’attuazione. Ma a questo punto finisce tutto.
Una volta oltrepassato un certo grado di tensione, il flusso si ferma e arretra, l’atmosfera si spegne e sfiorisce, le possibilità sfumano e tornano nel nulla, i grigi, folli papaveri dell’eccitamento si riducono in cenere. …