da “La Libellula” – Amelia Rosselli

… Chi mi fece dunque
così cieca? Se non è per me, che sia per te! …

Io non so se la tua faccia sa ripetere una
tua crepa interna o se i miei sensi meglio sanno
di questa mia virile testa che è vero, o se è
falso colui che è bello, bello perché simile.
O bello perché buono? Io cerco e cerco, tu corri
e corri. E io corro! e tu ridi alle folle spaventate!
Non so quale grandezza ci fu preparata: Iddio
non perdona chi porta a fior di labbra soltanto
il suo difficile nome, il suo dono di sangue,
la sua gialla foresta. Spianai un terreno
per riceverlo, ma scappai prima che i tamburi suonassero.
E così saprai chi sono: la stupida ape che ronza
per un punto fermo, cercando Lui, quella giungla
di alberi di ferro battuto.

… Se ti vendo
il leggero gioco della mia inferma mente tra
le due tende degli impossibili cerchi che si
sono tesi tra le nostre anime, nell’aria, che
palpita tra la tua rivolta e la mia, che spinge
e geme fuori del portone, nel solaio aperto alla
più profonda tristezza che mi univa ai tuoi sogni
ricorda le parole scritte su le mura delle più
grandi fortezze degli Egiziani! Io sono una che
sperimenta con la vita e non può lasciare nessun
rivale toccargli il cuore, le membra insaziabili.
Io sono una che lascia volentieri la gloria agli
altri ma si rammarica d’esser trattenuta dagli
infelici nodi della sua gola.
…e che Iddio permetta
la mia presuntuosa discordanza con le guide del
cielo perlato. Ricorda ch’io fui tra i più stanchi
fra i cavalieri delle nostre pecche. Ricorda
che tutti noi fummo nati per presentare tutte
le stanchezze. Ricorda questa mia vita attaccata
all’ignoto sorseggiare delle tue pupille…

Io non so se tra il sorriso delle verde estate
e la tua verde differenza via sia una differenza
io non so se io rimo per incanto o per travagliata
pena. Io non so se rimo interamente
per te. Troppo sole ha imbevuto il mare nella
sua prigionia tranquilla, dove il fiorame
del mare non vuole mettere mano ai bassifondi affondati.
L’alba si muove a grigiori lontana. Io non so
se tra le tue pallide rocce io incontravo lo sguardo,
io non so se tra le monotone grida incontravo
il tuo sguardo, io non so se tra la montagna
e il mare, esiste pure un fiume. Io non so se
tra la costa e il deserto rinviene un fiume accostato,
io non so se tra la bruna tu t’accosti. Io non
so se tu cadi o tu tremi, tu non sai se io piango
o dispero. Disperare, disperare, disperare, è
tutto un fabbricare. Tu non sai se io piango
o dispero, tu non sai se io rido o dispero. Io
non so se tra le pallide rocce il tuo sorriso.

Io non so se tra le pallide rocce il tuo
sorriso m’apparve, o deo dalle fulgide chiome
o cipresso al sole io non so se tra le pallide
rocce del tuo sguardo riposavano l’incanto e
la giovinezza. Io non so se tra le ruvide guance
del tuo sguardo riposavano gli addii o la pietà.
Io non so ringraziarti e non so la tua dimora
e non so se questo grido ti raggiunga. Io non
so se l’infante che ti cerca è la vecchia che
si tiene in balia. Io non so se la sponda è larga
o l’infante è morta, non so, non vedo, non sono,
per te, che sai che vivi che vibri che rimani
al di là della dolcezza. Io non suonerei le sonagli
se sapessi che tu entri nel cuore con facilità.
Io non suonerei questo ballo se sapessi che non
sono sola. Io non suonerei nessun ballo se tu
cantassi. Non si piange se la gioventù si è fuorviata,
non si ride se il padre è un nobile disoccupato,
non si ride se la gioia è una giostra disoccupata.
Non si ride e non si rimpiange e non si sa se
piangere o ridere, non si fa il bidello ai grandi,
non si rompe la coda ai piccoli, si lascia stare
tutto così come potrebbe essere. Non cadere.
Non vincere! Non perdere – non stancare. Non
prorompere in risa solenni; non spanderti ribelle!
Addolorata tu addolcisci, amante del potere t’indurisci.

E il delirio mi prese di nuovo, mi trasformò
stancata e ebete in un largo pozzo di paura,
mi chiamò coi suoi stendardi bianchi e violenti,
mi spinse alla porta della follia. Mi rovinò
per quell’intera durata e quel giorno intero.
Mi stese dispettosa a terra: incapace di muovere,
stanca all’alba, incapace la sera: e l’agonia
sempre più viva.

Il contadino con le sue lunghe mani sapeva tutta
l’ansia mia, ma egli non rivelava, il suo vero
nome da incantatore. Io lo fuggivo per valli
e terreno oscuri, ma egli sapeva il nome mio.

Non so se tra le pallide brume il tuo sorriso
m’apparve in una bruma tiepida e distesa, ma
io morii dal male che sorse dalla tua bocca e
dal tuo tiepido sorriso infatuato. Non so se
tra il male che mi vuole e il tuo sorriso esista
la pietra puntata della differenza: se gemelle
le nostre anime sono, non so come accordarle
al tuo suono flebile non vedo la luna apparire
di tra gli spuntoni rocciosi delle mie abitudini.
Non so se tra le pallide rocce il tuo sorriso
di lontananze ignote, non so se tra le pallide gonfie
tenebre della miseria tu entrerai a festare.
Non so se tra le pallide fonti dei tuoi canti
la luce si leva di sopra i monumenti: non so
se tra la pallida erba e il fiore non so se tra
il pallido sole e la gioia, non so se tra la
gioia e il dolore, non so se tu visiterai le
tombe dei cristiani appesi ne la mia gola arsa
dal male. Non so la lunga linea dell’avvenire,
non v’è nessuna luce e la preghiera, non so se
la preghiera muore.

E gli uccelli volano molto tranquilli
…..

* immagini da “Petite mémoire” di Mauro Santini
https://maurosantini.wordpress.com/filmvideo/videos-online/petite-memoire-2/