Alberto Mielgo e Niels Fredrick Dahl

 

 

Come farcela
 

Come farcela, come sdraiarsi accanto al cane, al suo fiato, al cuore caldo, finché qualcosa che pensavi non avrebbe mai
ceduto cede, le tue braccia, la tua lingua, tutto ciò che chissà dove è stato registrato anche se non sappiamo dove, ogni
secondo di questi anni, questi settemila giorni e notti, ogni carezza, ogni pianto e ogni sospiro, ogni bacio e
ogni tristezza, ogni carezza, ogni scaglia di sole sul terreno nella foresta e dovrebbe essere possibile leggere e capire

cosa significa essere te, essere me, essere con te, con me, seguirti da vicino, la tua bocca, puoi aprire la tua splendida bocca?,
ci sdraiamo sullo scoglio scavato dall’onda, al limite dell’acqua, tu scrivi il tuo libro, il fiordo che lappa la pietra è cupo
turchese, oche grigie alte su di noi, il mare tiepido abbastanza ormai per le silenziose vite degli ippocampi, per il sorriso della pastinaca, e
per la medusa, che si nutre di luce, questa è casa, lo so che lo sai, ma come vivere, come interiorizzare

gli orecchi e gli occhi balenanti del capriolo nel campo di grano che sopravvive da verde chiaro a oro, gli uggiolii del cane, e
anche io vorrei essere un po’ più vicino, sempre un po’ più vicino a te, come una dottrina stanca, forse,
una caparbietà a cui non ho diritto, ma non cheta come quella nel cuore della tua inquietudine, senza
gesti, più vicino alla pelle, come mettersi in piedi a braccia spalancate, come

tenere le dita affiancate strette, i palmi all’ingiù, come ruotare attorno al proprio asse, come
vorticare come un derviscio mentre frutti di sole vengono presi dal vento e un velo di verde che sbianca
viene trascinato sulla silhouette grigia degli abeti sull’altra sponda del fiordo, e quando l’inverno cade su di noi,
tu lì nella neve, come tutto fosse nuovo, come un che mai visto prima, e poi visto, e poi

no, di nuovo nuovo, inverno, inverno, inverno, ogni briciolo, ogni fiocco, ogni argento, ogni
cristallo, sarà bianco?, certo lo sarà, sarà sereno?, certo lo sarà, se stai scherzando, fingendo che le lentiggini del
sole sul terreno della foresta siano infilate insieme come una collana brillante smarrita in cantina, se fingiamo
che tu ascolti direttamente con il cuore ogni rumore, con il cane che bofonchia nel sonno tutte le sante notti, la bambina

che ti chiama dagli abissi di un sogno, tu stringi il suo corpo caldo, tu le detergi gli incubi
dalla fronte, ti svegli certe mattine e trovi un mondo emaciato che esige essere salvato,
gli insuffli vita, come respirare, finché fondo nell’entroterra, al di là della cava illuminata
tutta notte, un cerchio bianco dietro la palpebra quando il giorno ha chiuso, una macchia di sole girata a rovescio sull’orizzonte,

la pioggia come tentacoli di medusa sotto le nuvole, può arrivare fin qui, pensi?, può tambureggiarci fino a farci cadere nel
sonno ed esserci ancora al risveglio?, il freddo, oscuro rumore all’aperto, tutto ciò che ci accade è un tumultuoso adesso e non
permetterà di essere ricordato, adesso, adesso, adesso, adesso, come fiato di fuoco, fuori, forse, è di nuovo primavera, tutti gli
uccelli, turbamento e poi felicità, sotto l’albero in fiore, ad occhi aperti, a bocca aperta, e noi siamo senza età, e

senza paura, e la foresta, la notte, l’erba, sono serbate nei nostri volti, nella luce delle nostre dita

 
Niels Fredrick Dahl

 

 

 



 

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The Windshield Wiper, di Alberto Mielgo, ha vinto l’Oscar 2022 come miglior cortometraggio animato.