Niente è vero, tutto è vivente – Édouard Glissant, e Kader Attai

 

Please Give Me Some Magic

 
 

                “Tout est à inventer”

 
 

Reflecting Memory, 2016

 
 

L’estendersi di una poesia non è infinito, da subito essa incontra le altre poesie del mondo, in un luogo evidente e segreto che ogni poesia ci fa intuire. È qui che cresce il fremito nato dalla lettura o dalla recitazione di ogni promessa del poetico, qui indoviniamo o riconosciamo le poesie che forse non leggeremo mai, e impariamo a frequentare quelle che presto scopriremo, o scriveremo o canteremo, con la sensazione di non potere sottrarre, a questa comunione, nessuna ispirazione isolata.

 
 

 
 

Sorgendo attraverso i cammini che ci portarono qui, a quest’incrocio di lingue, dove anche i continenti incontrano infine gli arcipelaghi, noi di nuovo tracciamo lo schizzo dei nostri passati, sepolti nelle sabbie più che probabili dei grandi deserti, e allo stesso modo circondiamo i nostri avvenire, scavati nel fresco delle boscaglie e nel fondo dei fiumi. Stanno là i nostri presenti. E poi, le località, i mulini, le Abitazioni, i paesini, i villaggi, i borghi, i sobborghi, le città, le banlieue, altrettante forme dei nostri pensieri, le metropoli, le megalopoli che si chiudono a loro volta in banlieue in borghi in villaggi e in località, lungo instancabilmente e invisibilmente generazioni di muri e facciate che camminano, crollano e s’alzano. Tutto ciò si rovescia e deriva e vira in deriva. È questo che crea l’unità? Sogniamo i paesaggi che ci danno forma, fanghi e braci, maree e tifoni, terra e fuoco, e acqua e aria. Solleviamo infinite parole a carico nostro. Gli alberi che spingono là inclinano verso Ponente. La loro vegetazione ci copre allora del tutto.

 
 

The Endless Rhizomes of Revolution, 2016

 
 

Ad Ovest! Ad Ovest! Il mondo infinitamente noto, che non è il mondo, è andato ad Ovest, o lo desidera. Sommersi, sappiamo poco, ingenui, delle parole del Levante. E i Levanti sarebbero anche dei Ponenti, per chi non consideri altro che le andature del vento. Indoviniamo da lontano le parole dell’Est, malinconie insistenti, inimmaginabili cumuli di chicchi di riso alla fine di questo gioco di scacchi, chicchi soffocanti ed inutili. Così poco ci orientiamo. Come ciascuno di questi colonizzatori pesanti, riconduciamo le storie degli altri ai piaceri nostri e agli sconvolgimenti nostri. Vediamo che tempo addietro si è passati dal tanka (31 sillabe) allo haiku (17 sillabe). Era in un Paese chiamato Giappone, che senza dubbio, come l’Italia di Cyrano de Bergerac, esiste anche nel mondo della luna. Ah! la conoscenza è là, così lontano, ma che importa: ecco che tutto è vivente, in tutte le direzioni, e sugli altipiani! Allora, usciamo, togliamoci dall’Ovest, e lasciamo questo Ponente, viriamo per esempio verso l’Africa segreta e tormentata! Accetto che il nostro linguaggio sia offensivo, nudo e crudo, di mammelle scoperte, di peli saldi, di polveri d’insulti, di singhiozzi lucidi, bisogna ingiuriare la miseria e schiacciare i profittatori. Ma con le solennità accendo anche un fuoco, dove conviene durare, dove la Relazione non è da questo a quello ma dal tutto al tutto. È proprio vero i nemici del vivente temono soprattutto non la totalità, ma la diversità, non l’alterità, ma la mescolanza esigente e strana.

 
 

J’accuse, 2016

 
 

Voci dell’America del Sud, Pablo Neruda, César Vallejo, hanno cantato a somme altezze la Spagna, straziata martirizzata dai legionari franchisti venuti dai loro possedimenti africani, alla fine degli Anni Trenta. La Spagna che quattrocento anni prima, aiutata dai suoi vicini o più spesso in competizione con loro, aveva distrutto i popoli Aztechi, Maya, Inca. I frutti dell’albero del pane hanno – sì, da oceano a oceano – salvato dalla carestia le popolazioni dei Caraibi, la tragedia del Bounty, primo e disastroso esempio di meticciato destinato, sull’isola di Pitcairn (o su un’altra simile), alla segregazione e alla morte impercettibile, ce lo ricorda: ma da dove provenivano i serpenti fulminei che i coloni seminavano a morte nelle foreste e sulle montagne di questi stessi paesi, in Martinica ad esempio, per accelerare l’estinzione dei neri marron? E queste piante consuete, tanto familiari e propizie, o queste radici, la patata, il mais, la coca, il tabacco, discesi dalle terre quechua, non sono forse alcune di esse che d’un tratto e per miracolo hanno prolungato il respiro degli animali prima, degli umani poi, nei paesi di quegli stessi scopritori sterminatori, mentre altre ancora di queste vegetazioni si solidificavano, rapaci teste di Meduse foggiate dai medesimi demiurghi, in avversioni generalizzate sulla Terra? L’oppio, la cocaina, l’eroina, il crack. E poi ancora la patata, il miglio, il grano, selvatico o no, il mais, il riso, la manioca, la patata dolce, il frutto dell’albero del pane e, per finire, la carestia… Ma ecco che sento anche, sento una musica, la sua solennità, dove bisognerebbe che addomesticassimo le più impudenti delle nostre tecniche, e che ci adattassimo a queste città e alle loro bellezze folli e al loro disordine tra i rifiuti. Le città accumulano tutto quello che le umanità hanno dissodato per un così lungo tempo, dei loro terrori e delle loro passioni. Le città apparendo scomparendo congiungono. Le campagne, morendo rinascendo, congiungono.

 
 

Untitled (Gardaïa), 2009 -riproduzione di una citta del Nordafrica, fatta interamente di cuscus.

Untitld (Skyline), 2007-2012

 
 

Che disordini tuttavia, cesure cose prese un pezzo alla volta e congiunte pezzo a pezzo: lo direste che una poesia può essere tagliata, interrotta, che noi potremmo darne degli estratti, brani scelti (come nei più scolastici dei manuali) e decisi dall’azione dei venti dispettosi?

 
 

Reflecting Memory, 2916

 
 

Sì, potreste: quando i brani hanno la buona sorte vale a dire la grazia di molti incontri, quando si armonizzano tra di loro, una parte di una poesia che si adatta a un’altra poesia, a questa nuova parte, e diviene a sua volta una poesia tutt’intera dentro alla poesia totale, che di colpo cantiamo.

 
 

On n’emprisonne pas les idées, 2018

 
 

L’immaginario è un campo di fiumi e di anse che si muovono senza sosta. Come le rocce d’acqua di fuoco di granito (le rocce invisibili) che si spandono nel turbine del mondo e che con cascate e arresti e faglie intagliano la curvatura del Tutto-Mondo; ma voi le leggete, una a una, secondo il caso con cui l’esistenza ve le porta, Bamako le sue arenarie compilate, Norman Oklahoma i suoi falsi marmi gotico della prateria, i monoliti-isolati, le pietre di corallo, le rocce grigie della Rivière Blanche vicino alla via di Balata, ma voi saltate da una roccia all’altra attraversate il fiume (scendete giù per i tempi), le rocce sono distinte congiungono, così le poesie sono paesaggi che sono paesi, non potete citare per intero il Diario del ritorno al paese natale di Aimé Césaire (sarebbe fare tutto in una volta il giro dell’isola: impossibile), né La musa che è la grazia di Paul Claudel, pure altamente misurata, neppure uno dei Canti di Maldoror di Lautréamont, smisurati davvero, bisogna che prendiate dei brani, delle rocce che s’incontrano, scintillano, schizzano, le scagliate al volo a vostra volta, stigmate e testimoni, i nostalgici, gli intemperanti, gli ambiziosi, tutti condivisibili. […]
Rappresentiamolo dunque questo infigurabile, questo movimento, moltiplicato negli spazi e nelle durate dei popoli, benché si tratti di un’arte delle parole e non di quella delle forme, dei colori o delle armonie. […]
  Così si forma (s’informa) il chiasmo sapiente dell’andatura della parola e del movimento del reale, l’una con l’altro mischiati, nascosti tuttavia sotto le rocce. L’antologia del Tutto-Mondo … è un’antropologia cangiante e permanente […]

 
 

Chaos + Repair = Universe, 2014

 
 

Oggi noi possiamo leggere o pronunciare con lo stesso slancio e allo stesso tempo gli incantesimi sacri delle prime età delle umanità e le poesie che hanno segnato, nelle paludi moderne e nelle meccaniche delle città e dei paesaggi ingombri, e a margine di ogni pretesa di Storia universale, le incrinature delle storie dei popoli, una dopo l’altra, e il reclutamento degli elementi del Tutto, la valanga e l’incendio, l’inondazione e il ciclone, la terra e il fuoco, l’acqua e l’aria. Nessuna antropologia s’organizza secondo il sistema di una regola di successione, o alla luce d’una qualsiasi legge dell’evoluzione. Il multiplo è sempre del qui-là e dell’adesso, anche quando raduna il passato. Sono questo destino e questo caso che qui in questo luogo di poesia si riuniscono.

 
 

Reflecting Memory, 2016

 
 

Un’antologia della poesia del Tutto-Mondo, questa qui, non si accorda a un ordine, logico o cronologico, ma precipita e segnala rapporti d’energia, acquietamenti e sonnolenze, folgorazioni dello spirito e peregrinazioni pesanti e sontuose del pensiero, che tenta di bilanciare forse perché là il lettore possa immaginare altre vie che presto creerà lui stesso. Tempeste e bei Tropici! Ghiacciai che bruciano! Bisogna che pensiamo, non abbiamo smesso di farlo, a quel “che importa dei deboli e degli oppressi, sull’infelicità dei quali ha fondato ogni volta quest’eccellenza”, e a quel “disprezzando nondimeno le storie dei popoli”: perché gli Elementi non concepiscono durata se non nel fulgore della giustizia, la giustizia è un elemento potente dell’ordine e del disordine del mondo, che fa sorgere il riso nero e giallo dei sofferenti, fa sussultare i sogghigni dei disperati, fa fremere di malessere quelli che approfittano dell’eccellenza di questo mondo e il cui agio è frenetico perché da ogni parte vacilla. La poesia indica questi tremori. Entrate negli elementi per conoscenza ed esperienza e li condividete, li separate, li rivelate anche, in nuclei e in particelle: bisogna pure che ci domandiamo: dove e in che cosa il loro pensiero tiene, ci tiene, tutto insieme tenuto? L’acqua, il fuoco? Come persistono, aldilà di ogni analisi, molecolare o simbolica, in questa unità misteriosa che li incarica dei nostri immaginari, delle nostre realtà? Devastano le nostre esistenze, portati qui dai tremori e gonfiati dai venti, li invochiamo malgrado tutto e di loro viviamo.

 
 

 
 
 

Immaginiamo che mettano insieme l’eco e lo scoppio, il pensiero durevole e il getto, la poesia e il parlare che la porta. Dall’una all’altra di queste ispirazioni, e a partire da questi elementi (per cui testimoniamo), fino alle loro storture condivise, ciascuno trova il suo di cammino. Consentono che ci si arresti, a fianco di una piccola altura o nel verde della laguna o alla svolta di un vicolo o di una fabbrica pesante di vetro e di metallo, luoghi comuni delle nostre erranze, per comprendere l’umile poesia, la testimonianza dell’infanzia, le crisi e i mormorii, per esempio l’adolescenza il Franc Jeu nella tua città di Lamentin, poi lo scoppio il vero grido Tropiques una rivista che venne su dal mare, e la giovinezza Élements una rivista che da lontano unica fiammeggia, o Acoma una rivista che qui germina di nuovo infine l’età matura le subitaneità venute da ogni parte l’immigrazione alla quale niente sfugge, le traversie ma anche le vie traverse di questo tempo che si disfa e si raccoglie senza sosta. Ho disegnato così il canale da cui questa antologia è traboccata, ce ne sono parecchie altre, per altri possibili getti di poesie: fino a quando non ti ricongiungi con la fiammata e la dolcezza del mondo. Il mondo, l’oggetto più alto della poesia: la confidenza, il suo specchio.

 
 

Topography of Aloneness

 
 

Là, ogni scelta azzarda una sospensione più che improbabile, e quindi l’oblio di un testo proietta come una linea di fuga dentro questa quantità finita di immagini. Ora, il TuttoMondo è insieme il limo e la cenere, la libagione e l’elevazione, la terra e il fuoco, l’acqua e l’aria segreta. La sepoltura e la consumazione, la purificazione e l’ispirazione: la terra ancora e i fuochi, l’acqua e l’aria, brutalmente. Tra questi elementi vengono innalzati il pensiero umano, le sofferenze dei popoli, le lotte e gli abbandoni, quel che tu gridi e quel che tu mediti. Il Tutto-Mondo è totale nella misura in cui lo sogniamo tutti così, e la sua differenza dalla totalità è ancora che il suo tutto è un divenire. La totalità del Tutto-Mondo è così la quantità realizzata di tutte le differenze del mondo, senza che nemmeno la più incerta possa venirne sottratta. La relazione tra i differenti non inaugura né ricapitola una geografia isolata, in ogni caso non una geografia solamente, ma una geografia di cui essere responsabili: perché la differenza del Tutto-Mondo (da sé stesso) è che è totalità non realizzata ma visibile tuttavia nell’avvenire. Quel che io sono è derivato, senza alcun fatalismo, da quel che sarò. Anche la poesia è sempre a venire. È per questo che viviamo alcune visioni profetiche del passato e al contempo acconsentiamo agli imprevisti del qui-là e dell’adesso. Vale a dire che questa via lungo la quale le folle delle poesie del mondo mettono in mostra le loro steli noi la sentiamo, stormisce, e talvolta la percorriamo dentro ai gridi e alle dismisure, ma allo stesso tempo vediamo che essa porta, infine, Rutebeuf o Gilbert Gratiant o Estrella Morente o George Brassens, al silenzio più unito, dove ognuno si trova e si stima.
 

da La via che stormisce: in silenzio
Édouard Glissant
in Pensiero Caraibico
Andrea Gazzoni

 

 

 

 

 

 

 

 

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* il testo, dal titolo originale La route bruissante: silencieuse, è l’introduzione a É. Glissant, La terre le feu l’eau et le vents. Une anthologie de la poésie du Tout-monde, Paris, 2010.
** Tutte le opere e le installazioni all’interno del posto sono dell’artista franco-algerino Kader Attai
*** L’ultima opera è di Franciszka Themerson
**** In copertina “La Table des utopiens”, una creazione collettiva realizzata dal gruppo Ėdouard Glissant, sotto la direzione dell’artista Stéphane Block {2020).
Per la creazione della Tavola ad ogni partecipante è stato dato il compito di scrivere, con pennarello indelebile, un proprio sogno e nella propria lingua, quella che più lo identifica. “Che importa essere compreso. Che importa averne il diritto. Come un flash sulla retina, lasciarlo imprimere il più a lungo possibile, aggrapparsi ad esso, restando consapevoli che tutto va a scomparire, senza mai più ritornare.”