Io scrivo nella tua lingua – Massimiliano Damaggio, e David Smith

 

Dove andiamo oggi?
Vado in un altro universo
dove dio sono io
per un momento
sei ancora tu
e poi diverrai
un sussurro
o un profumo
che ti cancellerà

 

A letter – David Smith

 

nel mondo delle parole non ci sono morti improvvise
 

ma io ho visto un vento, fermo alle radici
di un bambino
e della sua spada di legno

questo vento è un vento
vero e la tua arma
è poca
ma mentre scendiamo insieme il sentiero nella notte
sei tu che mi fai strada
con una lucciola sul palmo della mano

a volte vorrei toccarti, ma poi non posso
e allora scrivo un luogo dove puoi correre e giocare
insieme ad altri segni come albero,
torrente
mentre ancora fai finta di volare
e cadi
termine in disuso
ogni giorno un po’ più bianco

 

 

allenarsi a dimenticare
 

mi aspetti in cima alla salita
dove finisce il bosco
e la luce inizia
a scolorirti

mi mostri una coda di lucertola
che si muove ancora
e dici tanto poi gli ricresce
come noi
insistiamo a vivere
quello che perdiamo

e subito cadi fra le cose
che accettano di arrendersi
perché solo quello che si spegne
risplende

 

*

 

I Polaroid
 

mi guardi dalla fotografia
ma io non so scrivere nella tua lingua
di cosa si chiamava bambino
ed era viaggio di vetro, irruzione
nel nuovo giorno, al calendario
scandalo

incontrarti oggi in uno specchio di carta
mi ha fatto tremare le mani
perché ti ostini ad accompagnarmi di nascosto
all’uscita di ogni galleria

quando insieme per la sorpresa ridiamo
di fronte a un’improvvisa voragine di luce

 

*

 

durante il naufragio
 

di tutto questo naufragio si salva forse un bambino
che seduto sul pallone
nelle pozze dell’asfalto
vede riflesso il cielo come un canto

se potessi gli direi guarda che sei ancora in tempo
saltala quest’acqua
ora che è solo una linea

girati, e guardala mentre s’ingrossa
l’onda alta delle nubi sui palazzi
e come mi chiude gli occhi, adesso
come sfuma la risata
di te che corri, e della
polvere

 

 

dalla pensilina
 

ogni arrivo, se lo guardi bene, è una partenza
che si abbraccia nel saluto, non sa
di salutare un arrivo

e di solito è nel ritorno che
chi si vede nei vetri ha più paura
di abbracciare uno sconosciuto

perché anche tornare è andare
in un posto che non c’era

 

*

 


 

tornavi dall’ufficio, facevi da mangiare
indossavi
un rumore dilagante per la casa
e i suoi fondali senza suono
e lunghi, dove dormo, e aspetto di abitare
il calore mai fiorito nel tuo nome

ma anche strappare le labbra è
amore, anche
chiudere a chiave i sudori di risvegli senza senza sonno

quando il sonnifero t’interrompe
e il balcone e il cortile ritornano al respiro
e le ombre ricoprono di segni
il vetro

 

*

 

memoria olfattiva
 

per molte notti ho dormito abbracciato al tuo maglione
fino a quando il tuo odore se n’è andato

ho letto da qualche parte che la memoria olfattiva
è la più dura a morire
e che rifiorisce all’improvviso, e non ti avverte

sarà per questo che stamattina
il barista ha posato sul bancone
due tazzine di caffè

 

 

macchina del tempo
 

t’incontro dove comincia il bosco
e si spegne il rumore dell’uomo

sono tornato a mostrarti il palmo della mano
il nostro itinerario di sangue
dai tuoi sette anni fino ai miei paesaggi
di vuoto che si schiude

la vita è bellissima, sai, e a tratti potrei sfiorarla, nelle pause
ma solo per un attimo, prima di tornare
nel rumore

è come un amore negato che però t’aspetta sempre
come l’albero dove t’arrampicavi
adesso punito dal recinto

ma poi lo capirai anche tu
che questo tirare avanti
in fin dei conti è una mancanza d’amore
quando hai sempre in bocca un sapore
che non è il suo

 

 

aspettavamo l’alba
 

il sole è salito in fretta
o forse giravamo così in fretta
che ci siamo dovuti aggrappare
l’uno all’altro

 

*

 

bivacco
 

ritrovarti, per poco, è anche questo un rifugio
una luce senza suono che scivola sul giorno

io e te sediamo sull’erba
guardiamo
la sera, e come scolora
il tuo nome nel suo

ci sono cose che non sappiamo morire
e ci piace quest’addio, incondizionato
ma da qui non vogliamo tornare.

 

 

sfavola
 

c’era una volta un bambino che
non poteva essere e
il suo tempo di poco tempo
a giornata, arabesco
di pioggia

che attende
dietro porte senza uscita
fra i solchi
sui palmi e sulle braccia
di quando sfonda il vetro, nelle grida
della madre rinchiusa
in bagno

lo incontro che suda nell’armadio
che arretra, cane, nell’angolo più cavo
gli dico che esistono i colori, esistono le cose
in forma di carezza, e anche se ho paura
gli passo una mano tra i capelli

ma lui li perde a ciocche
lo psicografo lo cerca nei disegni
e in fondo alla grafite c’è un bambino
che di notte, sul balcone
aspetta
l’ astronave

 

Follow my path- David Smith

 

il palloncino rosso
 

è ancora possibile una forma di gioia per questo corpo
che fa gesti con le mani, ride, parla
passa la notte davanti agli uomini rotti
là dove tutti i vuoti coincidono

come un bambino che corre
dietro a un palloncino rosso, e lo tiene con i denti
e pensa che durerà, e lo lascia libero
 

da Io scrivo nella tua lingua
Massimiliano Damaggio

 

 
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* in copertina Tank Totem
tutte le opere sono dell’artista americano
David Smith
** la poesia introduttiva è tratta
da Poesia come pietra
Massimiliano Damaggio
*** per chi volesse approfondire la conoscenza del poeta
allego link alla rivista letteraria Perìgeion

 

Don Quixote, 1952 – David Smith