E’ possibile sapere come sono le persone e come cambieranno nel futuro? Fino a che punto possiamo fidarci dei nostri amici e dei nostri conoscenti e dei nostri soci in affari? Quali sono le loro tentazioni e le loro debolezze, o il loro grado di lealtà e la loro fermezza? Come sapere se fingono o se sono sinceri, se sono disinteressati o disinteressati nel manifestare il loro affetto, se il loro entusiasmo è vero o è soltanto adulazione, lusinga calcolata per guadagnarsi la nostra approvazione e la nostra fiducia o per rendersi imprendiscibili per noi e persuaderci così a qualunque impresa e influire sulle nostre decisioni? E ancora: siamo in grado di prevedere quali amici un giorno ci volteranno le spalle e diventeranno nostri nemici? Voglio dire: riuscire a immaginare una simile possibilità quando sono ancora i nostri migliori amici al punto che per loro metteremo la mano sul fuoco e ci faremmo tagliare la testa? Possiamo fidarci di noi stessi, del fatto che non saremo noi quelli che cambieranno e imbroglieranno e tradiranno, quelli che invidieranno un giorno quanti oggi amano di più fino a non sopportarne il contatto né la presenza, e che decideranno di lasciarsi guidare soltanto dal risentimento?
“Gli individui portano le loro probabilità all’interno delle proprie vene, ed è soltanto questione di tempo, di tentazioni e di circostanze se alla fine le condurranno al loro compimento!” – dice Sir Peter Wheeler, uno dei personaggi principali del mio romanzo Il tuo volto domani. E Wheeler aveva in via di principio età, sapere e controllo. Con ottant’anni e più, quell’ispanista e professore di Oxford ormai in pensione, aveva lavorato per l’MI6, il Servizio Segreto britannico, durante la seconda guerra mondiale.. Le sue missioni l’avevano portato nei Caraibi, in Africa Occidentale nel Sudest Asiatico. Ma aveva anche partecipato, durante e dopo la Guerra, a un gruppo creato nel bel mezzo di un conflitto, che non ebbe mai un nome (“Soltanto di ciò che non ne ha è possibile negare l’esistenza, o tenerla nascosta”), e che non era dedito a operazioni convenzionali di spionaggio, ma a qualcosa di più modesto, di minor rilievo, meno avventuroso e di sicuro più efficace. Forse anche più rischioso per quanti costituivano l’oggetto delle sue attenzioni e dei suoi decifranti. L’idea era nata in occasione della campagna contro le careless talk (le “conversazioni imprudenti”) che il Governo britannico condusse tramite manifesti, avvisi, annunci, spot radiofonici e vignette sui giornali. Il messaggio di tale campagna (rivolto non soltanto alle truppe e ai politici che disponevano di informazioni particolari, ma all’intera popolazione civile) era in sintesi questo: “Tacete, non parlate, perché non si sa chi può essere in ascolto e quale uso farà dei nostri commenti più banali”. Il paese temeva le quinte colonne, le spie naziste che venivano paracadutate in territorio inglese, scozzese, gallese; gli agenti infiltrati, i britannici che potevano tradire per convincimento o per corruzione. Chiunque poteva essere un nemico, e la lingua senza freno di ciascuno poteva trasformarsi in un’arma mortale contro i compatrioti, senza che quel ciascuno se ne rendesse conto.
Quella campagna a favore del silenzio, della discrezione, al limite del mutismo totale, ottenne risultati parziali. Alcuni tacquero e altri, invece, parlarono più che mai, sentendosi per la prima volta nella vita “importanti” e pensando di dire qualcosa che potesse essere appetibile per qualcuno. L’MI6 e l’MI5 si resero presto conto dei controproducenti effetti collaterali, e decisero di capovolgerli, utilizzandoli a proprio vantaggio. L’idea era: “Anche se i più loquaci la maggior parte non dicono niente d’interessante né di decisivo, quando parlano dicono quasi tutto su loro stessi. Le persone basta guardarle e ascoltarle con attenzione, basta interpretarle, senza superficialità ma anche senza paura, per capire come sono e quali probabilità racchiudono in sé. Quasi tutto è lì, a vista, a portata di orecchio, il carattere delle persone, quasi la loro essenza. Bisogna soltanto avere il coraggio di vederlo e di riconoscerlo, e questo è ciò che nessuno fa quasi mai”.
Questo crede a sua volta il narratore dei tre volumi de Il tuo volto domani (Febbre e lancia; Ballo e sogno e Veleno e ombra e addio), Jaime o Jacobo o Jacques Deza, uno spagnolo che anni addietro aveva insegnato all’università di Oxford e che, dopo la separazione dalla moglie, ritorna in Inghilterra per trascorrere il periodo di disorientamenti che accompagna di solito le “convalescenze sentimentali”. “Tutto è a vista, in realtà tutto è visibile da molto presto nelle relazioni, basta spingersi a guardare, un solo istante racchiude il germe di molti anni a venire e quasi della nostra storia intera.., e se vogliamo la vediamo e la percorrimo già, a grandi tratti”, così pensa Jacobo Deza a un certo punto del romanzo. E conclude la sua riflessione in questo modo: “ma nessuno vuole vedere niente e così nessuno vede quasi mai quel che è lì davanti, quel che ci attende o procureremo presto o tardi.. Cerchiamo di fare in modo che le cose siano diverse da quel che sono.., ci sforziamo insensatamente e che ci piaccia chi ci piace poco sin dal principio, e a poterci fidare di chi ci ispira diffidenza acuta, è come se spesso andassimo contro la nostra conoscenza, perché così lo sentiamo molte volte, come conoscenza più che come intuizione o oppressione o presentimento, nulla a che vedere tutto questo con le premonizioni, non c’è niente di soprannaturale né di misterioso in quello, la cosa misteriosa è che non lo accettiamo. E la spiegazione dev’essere semplice.., è soltanto che sappiamo, e lo detestiamo; che non sopportiamo di vedere; che odiamo la conoscenza, e la certezza, e il convincimento; e nessuno vuole trasformarsi nel suo stesso dolore e nella sua febbre..”
Nessuno tranne pochi, i componenti di quel gruppo senza nome che è in funzione ancora oggi, e di cui, senza quasi saperlo, entra a far parte Jacobo Deza. E anche senza nome, fra loro si chiamano a volte “interpreti di vite”, o “traduttori di persone”, o “anticipatori di storie”. Niente di soprannaturale, in realtà, in loro, né psicologie. Non sono visionari e tanto meno veggenti, né profeti né indovini, né si comportano secondo regole più o meno psicologiche prestabilite. No, sono soltanto individui che hanno il “coraggio di vedere” e che si assumono la “irresponsabilità di vedere”, e lo raccontano. Le loro scommesse sono narrative.
Come funziona questo gruppo oggigiorno -quando non vi è più guerra, neppure guerra fredda – è quello che si sta vedendo in questo romanzo.
A capo di quel gruppo c’è Bertram Tupra, affiancato soprattutto nei compito di “decifrazione” dal suo secondo, Mulryan; dalla giovane Pérez Nuix, di padre spagnolo e madre inglese, educata nel paese materno ma totalmente bilingue; da un uomo di origine austriaca chiamato Rendel.. e adesso da Deza. Un osservatorio per assistere nascosti a visite e conversazioni; a video e registrazioni di ogni genere di persone, gente anonima e gente celebre, politici, magnati, giudici, attori, scrittori, cantanti. E poi, “Che vede lei?” è la principale domanda rivolta agli “interpreti di vite”: Che cosa vede in quegli individui, come sono, che cosa ci si può aspettare. E gli interpreti informano come ritengono più opportuno, oralmente o per iscritto. Con molte incognite: chi commissiona tali rapporti narrativi, perché, quale uso se ne fa se ve n’è uno, e non vengono invece archiviati perché “non si sa mai”. Tupra, Mulryan, la giovane Perez, Rendel e Deza lavorano in un edificio anch’esso senza nome vicino a Vauxhall Cross a Londra, dove si trova la vistosa sede attuale dell’MI6, affatto discreta né dissimulata, a differenza del suo ultimo capo, Richard Dearlove, di cui non si sa quasi niente e di cui non esistono foto recenti.
Esiste tuttavia un rapporto su di lui negli schedari, come ve ne sono di persone sconosciute, e della signora Thatcher, e dell’attore Michael Caine, e di Keith Richards e.. e di alcuni morti.
E ce n’è pure uno di Deza, certo anche gli “interpreti” possono essere a loro volta interpretati..
da Interpreti di vite –
Javier Marías
* il dipinto in copertina è di Williem de Kooning, Excavation