Talvolta andiamo alla ricerca
e non sappiamo di cosa
finché non ritorniamo agli inizi.
In principio (in principio del tempo, a dir
poco) c’erano i compassi: roteando nel
vuoto i loro piedi tracciarono principi e fini,
principio e fine in una sola linea. La saggezza danzava
in circoli perché questi erano il suo regno: il sole
ruotava, i mondi vorticavano, le stagioni si susseguivano, e
le cose tutte seguivano il loro corso: ma in principio,
il principio e la fine erano uno.
E in principio era amore. Amore formava una sfera:
e in essa tutto cresceva; la sfera poi abbracciava
principi e fini, il principio e la fine. Amore
aveva un compasso la cui danza vorticosa tracciava una
sfera d’amore nel vuoto, dal centro della quale
scaturiva una sorgente.
I campi erano disposti
per il circo,
le stelle per gli spettacoli
prima ancora
che l’elefante levasse una zampa
o sorgesse il tendone.
Le stelle del mattino
Avete visto il mio circo?
Avete mai saputo di una cosa così?
Vi siete levati di buonora per vedere i carrozzoni entrare in città?
Li avete visti occupare il piazzale?
E all’allestimento, c’eravate?
Avete visto allestire la cucina da campo al lume di una lanterna?
Li avete visti accendere un falò e sedersi attorno a fumare e parlare sottovoce?
Al sorgere del sole, li avete visti
avvolgersi nelle coperte e andare a dormire?
Un po’ di sonno prima di
svolgere la tela, innalzare il tendone,
andare a ciò prendere acqua per gli uomini e per gli animali;
c’eravate al comparire degli animali,
i grandi elefanti caracollanti a tirare i pali
e srotolare il tendone?
C’eravate quando il mattino è apparso sui prati.
C’eravate quando il sole ha guardato attraverso le sbarre scure delle nubi
gli uomini che dormivano al fuoco della cucina da campo?
Avete visto la brezza mattutina frugare tra le coperte?
Avete visto la stella del mattino brillare nel firmamento?
Avete udito gli uomini parlare piano,
li avete uditi sorridere attorno alla cucina da campo?
Quando le stelle del mattino gettavano le lance e l’azzurro bagnava il cielo…
Avete osservato le perle di rugiada sui fili di erba?
Avete guardato la luce di una stella attraverso un mondo di rugiada?
Avete visto il mattino avanzare sui prati?
E a ogni foglia il mattino è presente.
C’eravate quando abbiamo tracciato il perimetro,
quando abbiamo srotolato il cielo,
quando abbiamo fissato il firmamento?
C’eravate quando le stelle del mattino
cantavano insieme
e tutti i figli di Dio gridavano di gioia?
Un canto sale dal suolo, erbe dal campo.
Chi guarderà crescere l’erba verde; chi sentirà
il canto della terra?
i bambini che vengono a vedere il telo levarsi all’alba.
Tre alberi spuntano da un mare di stoffa. La fune li allaccia
uno all’altro, ridiscende in un arco dolce fino al terreno
Bagonghi gesticola a mezz’aria.
“Guarda! Il tendone!”
Chi stende il padiglione del mattino?
(Sapendo la meraviglia che genera, sperando di partorire un figlio,
un albero, il cui riso e l’ombra delicata potessero allietare i
figli dell’innocenza, il piazzale attese.)
Canto dell’acrobata
Per chi è che ci esibiamo ora,
saltando sulla corda
per chi il ragazzo
che sale la scala
si sbilancia e rotea –
per chi,
visto o non visto,
in uno scudo di luce?
Visto o non visto,
in uno scudo di luce,
al sommo del tendone
dove i raggi piovono
spiando le giravolte
degli acrobati
che danzano
nella luce:
Signora,
noi siamo i Tuoi acrobati;
giocolieri;
saltimbanchi;
funamboli;
aero-danzanti,
dondoliamo sui trapezi:
siamo i Tuoi pargoli,
volanti nell’aria
di quel sorriso:
gaudenti di luce.
Signore,
ci esibiamo al Tuo cospetto,
praticando una disciplina di gioia,
un filo sottile di coraggio,
un’esile, funicolare dipendenza
sugli abissi.
Cosa ne sappiamo
della via che ci porta?
Solo questo passo,
questo movimento,
che passa al solo nominarlo.
Qui
sull’orlo
sottile del mondo
ci volgiamo alla Nostra Signora,
che leggeri ci sostiene:
molliamo la corda,
molliamo la fune,
svaniamo
nella luce.
[…]
Con una canna di bambù
volteggia magnificamente
in groppa al cavallo.
Tremante atterra
in bilico su un piede
agitando le braccia,
convinto di ruzzolare.
Grida.
Alla fine lo trova:
il punto di equilibrio.
Sicuro,
coi piedi ben piantati,
si piega all’indietro
i pollici in tasca:
la mente libera da dubbi.
Tira fuori un giornale dalla tasca,
lo spalanca, comincia a leggere,
poi voltandosi
e leggendo
fa un passo enorme
scavalcando la coda del cavallo
come un anziano
che scende dall’autobus.
La Louisa
Le punte dei piedi quasi toccano la volta del tendone;
lei si allunga, in equilibrio sull’arco della schiena,
i piedi sono in punta,
le gambe lunghe e snelle si stendono di fronte,
la vita è tesa,
il corpo semi-rilassato.
Le braccia abbandonate graziosamente dietro il capo,
quando oscilla avanti i lunghi capelli la seguono in corsa:
ha un fiore tra i capelli,
quando oscilla indietro le stringono il capo in un abbraccio.
Avanti e indietro,
avanti e indietro.
Poi si lascia andare.
A capofitto:
i capelli
e il fiore
precipiti verso terra.
Non guardare!
Precipite-
volissime-
volmente!
Afferrata al volo la barra,
rimane appesa per i piedi:
dondola avanti e indietro,
la schiena fa un bell’arco,
le mani e le dita composte,
il fiore in corsa tra i capelli,
Si tira su,
appesa per le mani,
afferra la fune tra le gambe,
e scivola a terra.
Si inchina graziosamente,
accetta l’ovazione
con il braccio levato,
E lascia la pista.
Adesso è con me, il popolo d’oro; le gambe e le braccia
intrecciate nell’oro della luce, flottando sul mare colmo
di ricordi: eccoli, i più belli, coi sorrisi della sera:
gli occhi truccati, scuri di capelli e dolci nell’aspetto,
gli occhi coke porte verso una terra di crepuscolo.
La loro malinconia mi avvince: tristezza di principi e
figli di principi: lo sguardo malinconico di chi
non vedo più da quando era bambino.
Poiché da bambini siamo pieni di stupore, pieni di visioni;
il ragazzo a cavallo, o era nel sogno, o era la pianura,
che mi viene incontro; le due zingarelle insieme
a farmi la domanda misteriosa. Visioni e verità così
mescolate nei loro occhi che non so dire quale delle due
abbia parlato.
Adesso ancora una volta sono con me, è il popolo d’oro:
vivono il loro sogno in lunghi pomeriggi di luce,
guidano le carovane in notti di veglia.
La città della sera tremava di fuochi, l’aria tremava
di luce rovente, un rovente splendore si allungava verso ovest
lungo le strade, le lingue d’aria lambivano i muri dei palazzi, le
ali di fuoco si libravano sopra i campanili e le case, le chiese
e i negozi della vasta città pianeggiante distesa fino al mare.
La strada si tendeva come un tamburo come tesa sopra
il corpo cavo del terreno, la cava oscurità del sottosuolo
risuonava al suono dei suoi passi verso ovest, e la strada
ardeva, tamburo in fiamme, una pelle di tamburo che risplende
sulla strada mentre lui in direzione della luce, a passi lenti
verso la luce, attraversava lo splendore arroventato dell’aria
incandescente e ora rinfrescata dal tramonto. Pareti di vetro
riflettevano il fuoco del sole, ne avvampavano, accese e
fiammanti, così avanzando per la città-tamburo lui veniva
circondato dal fuoco e procedendo verso il fuoco e nel
fuoco trovava scure caverne, scuri passaggi tra pareti di fuoco,
portali nei pannelli di ottone dove questi uomini sedevano su sedie
pieghevoli da campo aspettando mentre il mondo girava, calvi
seduti su sedie pieghevoli aspettando mentre il mondo girava,
le loro teste come pelli di tamburo s’incendiavano al sole, accese
e fiammanti, tamburi di rame, elmi di ottone che si accendono sopra
le strade di tamburo, ognuno inscritto nel suo portale scuro,
sul ciglio della sedia nell’oscurità di porte; particolari in ottone
sulle pareti di vetro. Nella città rovente essi stavano seduti
su sgabelli da campo aspettando mentre il mondo girava.
da Il Circo del Sole –
Robert Lax
Traduzioni di Graziano Krätli e Renata Morresi
a cura di Giampaolo De Pietro e Graziano Krätli
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* in copertina e nel post
Illustration for Fairy Circus –
Dorothy Lathrop
** un sentito ringraziamento alla Casa Editrice
Ponte del Sale, prima a pubblicare in Italia il poeta americano Robert Lax
Il libro è impreziosito dai disegni di Francesco Balsamo

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La famiglia circense Ctistani che Robert Lax seguì in una tournée in Canada
