… Il giorno è lungo.
Amoreggia il nulla. Lo fa sempre.
PRAYER
Over a dock railing, I watch the minnows, thousands, swirl
themselves, each a minuscule muscle, but also, without the
way to create current, making of their unison (turning,
re-
infolding,
entering and exiting their own unison in unison)
making of themselves a
visual current, one that cannot freight or sway by
minutest fractions the water’s downdrafts and upswirls, the dockside cycles of finally-arriving boat-wakes, there where
they hit deeper resistance, water that seems to burst into
itself (it has those layers), a real current though mostly
invisible sending into the visible (minnows) arrowing
motion that forces change—
this is freedom. This is the force of faith. Nobody gets
what they want. Never again are you the same. The longing
is to be pure. What you get is to be changed. More and more by
each glistening minute, through which infinity threads itself,
also oblivion, of course, the aftershocks of something
at sea. Here, hands full of sand, letting it sift through
in the wind, I look in and say take this, this is
what I have saved, take this, hurry. And if I listen
now? Listen, I was not saying anything. It was only
something I did. I could not choose words. I am free to go.
I cannot of course come back. Not to this. Never.
It is a ghost posed on my lips. Here: never.
da Prayer –
Jorie Graham
in Never, 2002
da Poetryfoundation.org
CENERI
Ammanettata a un vortice. Chiedo alle piante di darmi la mia piccola identità. No, ai pianeti.
Messaggeri che s’inarcano, le loro viscere d’orbita fanno un cenno, e un bruco su una foglia, muffa,
campane, una pergola–tutto in transizione–in svolgimento–riversandosi in un po’ più di vita cellula
dopo cellula nel vento come questo
fruscio di scarabocchi
sulla carta. Sto precipitando
credo. Ricordo la terra. Il terriccio giace
quieto, sotto di me, aspetta di fare di noi quel che può, anche il fumo, aspetta
d’essere l’origine d’un posto nuovo, fantasmatico l’altro, intralciata l’entrata,
sempre più entrate–ho passato la vita a entrare–la faccenda del posto sospesa sopra di me
anno dopo anno–il mio rarefarsi sempre qui in spirito, dentro di me, lontano da me, dietro di me,
intima con insetti, uccelli, pesci—ma perché solo vittime–
che io possa divenire vetro–che dopo diverremo fusione
glaciale – morena che disvela gramigna, erbacee, la carezza d’una gelida madre
preistorica–o un dito
nell’atto di toccare
una pelle quieta, di scorrere sulla sua polvere, un’unghia che turba il bordo
dell’aria, fruga nella sua assurda fine immaginata
all’infinito–salta–atterra al tocco. Una mano. Su chi. Un solco attraversato dove un dio
muore. Vellutato prima della ferita. Un universo può morire. Che si possa sempre avere o essere un
corpo. Afferrati poi per i lunghi capelli
e trascinati giù per un canale
nell’essere. Uno. Ora ascolta i pini, la fioritura, il suo luccichio, il tossire secco e selvaggio del
mare, una piega in ogni rivolo, un vortice di pieghe–ascolta–odi lo sciogliersi, interminabile,
delle pelli–odi una pelle che si stringe su ciò che ora non è più
assente.
Eccoti dice una voce nella luce, la luce imprigionata. Sii felice.
DA DIETRO LA RISONANZA
[…] oh illustre
labirinto, amico mio–guardati dall’orgoglio–fai attenzione–avvicinati–
guarda–c’è un’aridità in arrivo ma non solo del cuore–
rimane esterna–impotente come il mare a fermare il suo rigore–come un ultimo
dono per noi–un caldo bacio andato troppo oltre–ma i bocci
ruotano nel petto, mio oscuro trono–nulla so del soldato, del tempo remoto, dell’autolesione–
aspetta e vedrai dice il sole che sorge su questo tutto a ogni istante–
365→h24→aspetta e vedrai, e→ehi ehi ehi ehi→
quasi fatto dice lui, tu ok→se se se se no se no se→
e se pensi che sia un uccello lo sia→anche se potrebbe essere il suono del
cellulare che hanno lasciato acceso nella cabina accanto nell’armadietto 5→in
modalità non silenziosa→che da qui si può→distinguere appena→
oltre il farfuglio dell’impenetrabile porta→su cui
una luce rossa
canta ad alta voce
esame in corso. E canta l’uccello. Sul suo corto cappio, il suo
guinzaglio, canta, eccolo, eccolo che ricomincia.
Chi chi trillip trillip
chiuuu chip chip.
Qualunque cosa tu faccia, sei libera. È un incubo. Sei completamente libera. Ecco,
stai attenta. Molto attenta. Ora puoi andare.
da Fast –
Jorie Graham

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* un grazie particolare al Blog Sacrificezone che mi ha fatto conoscere la poetessa
** in copertina
To Repel Ghosts –
Jean-Michel Basquiat
*** nel post lavori di Jacopo Paglioni
**** Video di Philip Glass – The Poet Acts