Voglio dire – Jack Portante

 

 

 

Questa unica, questa eterna luna
È il vostro segno e il vostro monumento.
Jeorge Louis Borges

 

 

*

 

La tua mano supponiamo che esista e so che esiste ma supponiamo.

E supponiamo che le dite di ciascuna delle tue mani ridiventino le CINQUE STRADE che ci uniscono e che alla frontiera le lunule siano astri digitali che ci fanno segno di passare.

E supponiamo che riusciamo a incrociarci o almeno a incrociare i nostri sguardi.

Voglio dire: a che sarà servita la piccola luna se non a incrociare i nostri sguardi.

 

*

 

Prima di trasformare ancora una volta in uccelli le pietre raccolte sul bordo del lago intendiamoci sul SENSO DELLE PAROLE.

In causa c’è la tua capigliatura e in minore misura la luna .

Supponendo che fra l’una e l’altra ci sia un punto comune o che siano i due poli per i quali passa la strada più insicura e su questa strada balla come sbilanciato su una fune il nostro amore quali conclusioni ne trarresti.

Quando ho raccolto il primo uccello ho: te lo confesso: pensato alle storie di lapidazione.

Ma l’uccello m’ha detto che la pietra non volerà mai più veloce di voi.

E che era già troppo tardi.

Guardala m’ha detto lei non è più quello che era.

 

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Ancora le tue labbra – grandi e spesse – da cui parte la FUNICOLARE SEGRETA che sale verso il gigante disteso di cui parlava il poeta dell’altra riva.

Tutto è vero e tutto è falso su queste cordate che portano le parole intime.

Chi possiede la chiave del mondo lentamente vi elegge il domicilio.

Forza la porta del villaggio e si immerge come una volta facevano i bambini nell’ombra spoglia di storie vertiginosi e affidabili

 

 

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E per INCITARMI ALLA TRISTEZZA io che di lei conosco la strada: voglio dire: parlo qui della pioggia che manda le sue gocce a sfidarmi attraverso il doppio vetro della mia finestra per permettermi di riflettere sull’origine di tutto questo.

Voglio dire: a questo falso inizio che vuole e non vuole che tutto questo sia un fiume.

Le sue acque che parevano mute mi parlano oggi di una recente fine del mese di febbraio.

Ti avevo già detto il mio stupore di vedere sorgere dalle mie parole antiche proprio nel mezzo del paese una statua triste come i tuoi occhi che non s’aprono mai completamente.

Tu sollevavi lo sguardo ma dentro tutto si nascondeva.

 

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A che servono le GALLERIE DELLA FELICITÀ.

Basterebbe oscurare luna e l’altra grotta quella di ieri per esempio affinché le arterie sotterranee cessino di essere il silos fragile della nostra golosità.

La loro fame nera è ingannevole.

Non dico che va sempre a questo modo.

Qualche volta c’è in causa la cancellatura.

Gratttando lascia tracce.

Come resistere al loro profumo senza annerire e come resistere al tuo quando i tuoi occhi neri si chiudono e si fa notte perché dentro: voglio dire: dall’altra parte della grotta c’è una seconda oscurità non tua né mia ma meno incerta .

 

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Queste parole preferisco tacerle.

Se non sono cadute con l’ULTIMA PIOGGIA è quasi come.

Da quattro mesi le aspettavo: voglio dire: aspettare è un modo di parlare: voglio dire: quel che aspettavo era il solco che di lassù chiamava prendendo il corpo delle nuvole per imitare la voce dell’umidità.

Quando piove e oggi piove le corde sono delle lunghe frasi e quando da lassù si parla così io preferisco tacere.

 

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Certi nomi erano sassi.

Bisognava stupirsene?

Chi li aveva seminati là aveva avuto la MANO LORDA.

Ne ho raccolto uno solo supponiamo che sia tu mi parleresti del laggiù come hai così spesso fatto?

Mi faresti ridere o piangere?

Vuoi che ti dica che dimenticare è raccogliere i sassi del ricordo?

Ne ho messo uno nella mia tasca: voglio dire: supponiamo che questo sia te che carezzo quando da questa frontiera si leva l’immutabile imperatore del giammai.

 

 

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Questo che parla in me: voglio dire: la NUVOLA CHE DENTRO FA OSTACOLO poi il cielo dietro e ancora più lontano forse la possibilità che tutto ciò possa avere tendenza a condensarsi.

Voglio dire: un debole vapore soffia sul questo degli elementi.

Passeggiamo lungo i frutteti e se rubiamo dei fichi l’una o l’altra radice è per ricordare a loro e soprattutto a noi che tutto questo ha della terra nel corpo.

Non della sabbia come chi circa traccie o le cancella ma della la terra pesante e recentemente rubata.

Del suo peso fatto di silenzio e di ricominciamento si nutre tutto questo: voglio dire: al di qua del vapore che non è già più nostro i laghi di fuoco riaccenderanno il giorno venuto l’enigma.

 

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Tutto quello che SENZA FAR RUMORE è già scomparso non somiglia in niente e quindi non somiglia in niente a quel che più lontano ritorna alla superficie: voglio dire: quel che non ritorna più non è necessariamente la faccia nascosta di quello che manca già.

Se ti incontrassi adesso immobile sul balcone che dà sul giardino un segno non sarebbe abbastanza per riconoscere in te un febbraio precoce.

Mi riparleresti tu del vegliardo disossato che quel giorno là reinventava la rosa nera.

Gli diresti allora che a stento lo riconosceresti tanto sul suo viso i fiori avrebbero scavato il loro solco: voglio dire: gli diresti che di generazione in generazione si mette in moto il lento amare?

 

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I giorni crescevano ma non troppo: voglio dire: per tanto che li ricontavo a monte e a valle era scivolato in loro un DEVASTATORE DI TEMPO.

L’animale va a morire cantavo l’animale va a morire.

Avrà visto delle cose e va a morire il devastatore di tempo.

L’animale va a morire cantavo morirà l’animale.

Gli angoli del mio sogno non sono più gli stessi da quando canto.

Scava un tunnel in me l’animale con le vene crescendo ma non troppo.

 

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Chi ha posto la sentinella DAVANTI ALLA GROTTA dell’AMARE sa che la luce che malgrado l’ombra filtra mi dice spesso il loro nome?

Non si fraintenda: quando dico loro non penso né alla sentinella né alla luce ma ai segreti che m’uniscono agli elementi.

Ce ne sono che salgono e altri che discendono.

È tale il moto degli elementi quando i loro nomi penetrano nella grotta dell’amare.

Lei: voglio dire: la sentinella monta la guardia senza scendere da cavallo.

A volte la sento piangere e la luce filtra questo e contro ogni aspettativa non si ferma l’amore quando passa non lontano dalla grotta.

 

 

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Non so più se la luce era più densa una volta quando attraversavo le fessure delle persiane proiettava delle FIGURE ROVESCIATE sulle pareti.

O ero io che ero a rovescio mentre le figure penetravano nella mia camera.

E gli alberi con i loro riflessi così intelligenti erano invidiosi: voglio dire: questi che si trovavano fuori di quelli che dentro si spostavano sulla testa?

Se mi ha detto ma non sono sicuro che se hanno delle radici gli alberi è proprio perché non hanno paura di passare attraverso le maglie di quelle di quella rete: voglio dire: essi temono che un mattino della giovane primavera un raggio di sole li filtra nelle stanze e li consegna all’immaginazione del bambino che non sono stato.

 

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Quando SEI USCITA DAL LIBRO e hai richiuso dietro di te la pagina io mi sono detto ci siamo.

Niente sarà più come quando dall’alto della collina di questo margine che promette l’altezza al di sopra del villaggio gridavo dei nomi furtivi in ognuna delle cappelle bianche del viaggio da venire.

Voglio dire: quando tutto ciò non era ancora reale attendeva in me alto sulla cima della collina questo lembo di memoria che ormai è fatto.

Io vi ho posato il libro.

E come tutto ciò è successo prima e che ora siamo nella biblioteca del dopo: voglio dire: come non vedo chiaramente il ponte gettato da questa parte qui degli elementi risalgo nel fuori che sfiora le nuvole e un poco trema.

Qual è dimmi questa storia che mi racconto questi giorni qui.

 

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Per questa finestra aperta quando l’ora non conta più né la luce che ho dietro la schiena entra UN’ARIA DI MUSICA MUTA che mi porta più lontano.

Non dico che questo mi fa viaggiare ma non sono non più ancora seduto la schiena volta alla luce davanti il libro ti scrivo: voglio dire: salto una a una le siepi senza spostare aria o per essere più precisi scivolo sui legni del parquet non per rifare i conti ma perché tornare di tempo in tempo sotto la superficie del mondo gonfia il volume della musica.

Non che divenga più udibile: voglio dire: quello che conta è quel misterioso sul posto che lo so e anche tu non ha quasi più gran che a vedere con il luogo dove mi trovo né il tuo.

 

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Mentre il giorno discende e si suppongono in lui gli uccelli dormienti che appena riconosco e appare nel loro volo la luna doppia del nostro buio comune metto un lago nel cielo.

Poi traccio una linea verso la scala appoggiata all’ombra.

Voglio dire: L’ORA DI SCENDERE porta una veste leggera in questo inizio di estate.

Voglio dire: sotto la veste discendere è un modo di salire quando la luna ridiventa lacustre.

 

 

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Quando di notte sorridi nel cielo la luna è COME LA TUA BOCCA a volte crescente a volte decrescente mai afferrabile.

Io vi leggo la luce che viene da questo altrove dov’è cominciato l’incendio.

Aveva un colore strano ieri a metà strada dell’ocra della tua capigliatura e quel che sulle case fa pensare all’ombra delle lotte di gladiatori.

In lei pure c’è crescita e decrescita.

In loro pure quando sorridi l’inafferrabile avanza e retrocede.

 

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Ormai sento che qualcosa non gira in tondo: voglio dire: prima di sentirlo lo sapevo ma di sapere lo sai è assente l’ANIMA DEL DOLORE.

Poteva partirne quel che voleva che io restassi intatto.

Da tutte le cime di tutte le foreste tutti gli arcieri tendevano invano i loro archi.

Le frecce quando arrivavano facevano mezzo giro: voglio dire: l’anima del dolore è una freccia a doppio taglio somigliante poco a poco al coltello del perché.

 

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Nella pentola che DALLA PARTE OSCURA DELLA LUNA attende che vi si getti quel che resta del tempo e dello spazio quel che parla viene di lontano.

Viene ugualmente dal lontano più lontano in ogni caso che dal bordo del segreto un mangiatore affamato: voglio dire: s’è sparso dentro di me un desiderio di far bollire gli elementi prima che si consumino.

In tutto ciò senza dubbio vi sta un pizzico di sale.

Questi che lo lanciano hanno come me e te tolto i loro guanti.

Come se nutrirsi fosse un’attività cosmica: voglio dire: mangiare da questa pentola e salare la pelle dell’eterno ritorno degli elementi non fanno che un ormai.

 

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E quando nella CAFFETTERIA DEL SUD ronfava il ribollimento dell’acqua un leggero velo fluttuava davanti alla luna come in questa notte di mezzo maggio quando mentre noi eravamo già in strada e il cielo aveva finto di sorriderci prima di ritirare una a una le stelle della nostra pelle.

Una tra loro sei tu che l’hai visto per prima si trovava un tiro di pietra.

Bastava tendere un poco più del solito le braccia.

Non ricordo più se l’abbiamo fatto: voglio dire: nella borsa bagnata del caffè tu insegnavi alle ramificazioni dell’enigma di nasconderti il futuro.

Tanta distesa dicevi non appare che in sogno: voglio dire: l’acqua e la posa avvicinandosi alle stelle non sono forse più i messaggeri che attendo.

 

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Avevo ricordati piantato un ulivo DAVANTI ALLA SUA FINESTRA.

L’avevo voluto invisibile ma i suoi rami e le sue foglie hanno fatto a testa loro.

Solo le radici e una parte del tronco sottile hanno saputo restare al di qua: voglio dire: eccolo qui amputato dei suoi piedi che fluttuava in altezza senza saper cogliere la sua occasione come se morire fosse una cosa e vivere un’altra.

Durante tutto questo tempo mio padre è rimasto disteso.

Vedo di qui le nuvole appena usate delle sue scarpe.

I lacci sono sciolti: voglio dire: come sapere se vi fosse un nodo prima di tutto ciò: voglio dire: nel dopo dei nodi il tronco riannoda necessariamente i suoi legami con la terra.

 

 

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È l’ora di richiamare le ombre.

Del loro far credere come a dei CANI SENZA COLLARE che il momento di tornare è arrivato.

Erranti esse errano vaste come i sogni: voglio dire: un’ombra che si distacca dal suo padrone penetra facilmente sotto la scorza degli elementi.

Ve ne è di più felice?

Di che è fatto il suo domani?

Voglio dire: l’ombra della felicità quando lei scava sotto la scorza trova per caso la felicità dell’ombra?

 

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Si colora all’improvviso QUESTA TERRA quando tu la prendi nella tua mano e la riduci in polvere come se tu fossi il setaccio e lei l’oro dei nostri ultimi giorni e io il cercatore dalle mani vuote.

E allora che lei si ravvicina a lei stessa: voglio dire: cadendone la polvere diventa semplice eternità presa tra i due poli della sua esistenza la sua caduta risponde meno alla regola del costante ritorno che agli sforzi di una gravità che quando la tua mano diventa polverosa s’impossessa della materia

È di là che è nata la tristezza cosmica.

Ne vedo l’effetto ma non la causa.

La perdita di colore universale non ha per me altra spiegazion che il gesto grave del tuo pugno che preso dal panico colorerebbe il sistema intero se dietro di lui: voglio dire: dietro il gesto e non il sistema non si nascondesse la fonte da cui tutto viene ma niente parte.

 

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Hai della polvere cosmica sul viso come se la METEORITE DELL’INIZIO avesse fatto scalo in te.

Ciò mette la serenità dei grandi spazi nella respirazione e mi fa ripensare alla carretta tirata dai buoi o al cerchio che precipita lungo la china della mia infanzia.

La rosa nera era già coltivata: voglio dire: prima di tutto ciò qualcuno aveva fatto segno agli elementi di travestirsi.

L’uno dei due che si chiamava allora ancora il fuoco s’è ricordato della sua vita anteriore.

Un altro carretto incastrato nelle rotaie della prima ferrovia gli era stato fatale: voglio dire: questi da cui vengo e verso i quali vado sono cesellati sul marmo della stele del monumento ai morti.

V’è polvere sui loro nomi: voglio dire: in quel secolo là non ci si nutriva ancora di pane e di cipolle ma di pepite ancestrali che i cuori raccoglievano.
 

da Voglio Dire –
Jean Portante
trad. Elio Pecora

 

 

Scoop water and the moon is in your hand

 

 

 

 

Regard the moon/ La luna non serba alcun rancore. – T.S. Eliot

 

 
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* in copertina “Private moon”
Leonid Tishkov
** nel post, in ordine:
Moon” – Simon Goldring
Moon meditation” – Richard Pousette-Dart
Landscape with the Moon” – Hrihorii Havrylenko
First Breath” – Luke Jerram
Glass Microbiology” – Luke Jerram
Scoop water and the moon is in your hand” – Zenkei Shibayama
Moon” – Jeff Koons
*** il video è tratto da Twin Peaks di David Lynch